In questo post non leggerete le ragioni del sì e quelle del no; non ci sono dichiarazioni né indicazioni di voto. Contiene invece alcune considerazioni che riguardano il modo in cui arriviamo a questo referendum. Un quesito confermativo, lo ricordiamo, per una riforma costituzionale che prevede la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari di Camera e Senato, e che per sua natura non ha bisogno di quorum per essere valido. Qualunque sia l’esito, indipendentemente dal numero di votanti, sarà decisivo. Sui giornali da settimane si leggono articoli, commenti e interviste a favore del sì e del no, spesso con buone argomentazioni da una parte e dall’altra. Come dicevamo, non sta a noi fornire indicazioni: come sempre, è bene che ognuno si informi e si formi una propria opinione.
Conta di più il consenso o la Costituzione?
Il commento che ci permettiamo di fare riguarda l’esempio che sta dando la politica nel dibattito su schieramenti, libertà di coscienza, voci fuori dal coro, ecc. In particolare, colpisce la mutevolezza delle posizioni dei diversi leader e partiti su una riforma che, lo sottolineiamo nuovamente, è volta a modificare la Costituzione. È eticamente accettabile, ci chiediamo, definire il proprio voto in termini di consenso? Questa riforma, così semplice e trasversale (e forse dovremmo aggiungere modesta), sta mettendo in imbarazzo più di un dirigente di partito. C’è chi, dopo avere per anni spinto per un taglio degi parlamentari, oggi fa i conti con il timore di una sconfitta, da un lato, e dall’altro il rischio che la propria voce si unisca a un coro di vincitori di cui non vorrebbe far parte. L’integrazione del voto con le elezioni amministrative, per quanto razionale dal punto di vista dei costi, sta rendendo questo voto ancora più “politico” di quanto già non lo sia in Italia qualunque voto su qualunque cosa. Si guardano i sondaggi, si cercano di anticipare eventuali “sorprese nelle urne”, si cerca il momento e il taglio giusto da dare a ogni dichiarazione. Ma il tema non era la Costituzione? Il funzionamento della Repubblica? In ultima istanza, la democrazia in Italia? Almeno discutiamo di quello. Certo, l’assenza di ambizione di questa riforma rende piuttosto vano ogni tentativo di stabilire che risvolti potrà avere uno qualunque dei suoi esiti. E qui, andando a ritroso, ci viene anche da dubitare delle intenzioni di chi l’ha proposta e ora, coerentemente, la sostiene. Sicuri che l’intento non fosse più di facciata che di sostanza? Il valore simbolico del “taglio” non si può negare, ma qual è il ragionamento che sta alla base? Se basta questa riduzione a rendere il nostro Parlamento un posto efficiente, forse non eravamo messi poi così male come si diceva. E se invece non basta, dove sono le proposte e i progetti di riforma che diano seguito e sostanza a quello che doveva essere un primo passo di un cambiamento più grande? La sensazione, il timore, è che alla fine la Costituzione sia la vittima sacrificale di un bene evidentemente percepito come più grande: il consenso. Se così fosse, non illudiamoci che sia un intervento sulla quantità a sistemare le cose. Abbiamo il sospetto che a mancare sia la qualità, che però, purtroppo, non si può alzare per legge.
(Foto di Adrià Tormo su Unsplash)