Più o meno tutti abbiamo esperienza di un infinito dialogo interiore che guida i nostri pensieri e accompagna le nostre giornate. Può essere una risorsa se siamo in grado di fare uso cosciente di questo flusso, ma può diventare un problema se invece ne siamo travolti e ci lasciamo andare a una corrente di negatività e ed eccessiva autocritica che talvolta può prendere il sopravvento.
Lo psicologo Ethan Kross chiama questo fenomeno chatter, ossia letteralmente chiacchierio, e ha incentrato molta della sua ricerca sui metodi per aiutare le persone a uscire da questo dialogo interiore incontrollato, trasformandolo in uno strumento utile a prendere coscienza di sé e aumentare la fiducia in se stessi. Come osserva lo scrittore David Epstein (che ha intervistato Kross in un episodio del suo podcast), uno dei problemi di quando il nostro dialogo interiore comincia a ruotare ossessivamente sugli stessi pensieri, solitamente negativi, è che non c’è modo di forzarsi a non pensare a qualcosa. Per spiegare la cosa fa il noto esempio di Fëdor Dostoevskij, che invita il lettore a provare a “non pensare a un orso bianco”. Il risultato è ovvio: ci si troverà nell’impossibilità di non pensare a un orso bianco (vale anche per chi sta leggendo queste righe, vero?). Negli anni ’80 del Novecento, alcuni esperimenti hanno dimostrato che Dostoevskij aveva più ragione di quanto credesse: provare a non pensare a un orso bianco (o a qualsiasi altra cosa) porta le persone a pensarci più intensamente di chi invece provi a pensarci. Quindi, in sostanza, concentrarsi sul togliere dalla testa un pensiero porta al risultato opposto. Come risolvere dunque il problema dell’incessante dialogo interiore, quando diventa un limite?
Kross offre cinque consigli pratici:
- Quando non riesci a smettere di pensare a qualcosa, scrivilo. «Metti su carta i tuoi pensieri e sentimenti più profondi su ciò che ti è successo», consiglia Kross. Senza stare troppo a pensare alla forma: basta tenere la penna in movimento. Kross ha sottolineato che facendo questo per 15-20 minuti al giorno per alcuni giorni consecutivi, inevitabilmente si inizierà a dare al problema la struttura di una storia, e quindi una conclusione. «Quando abbiamo una storia che dà un senso alle nostre esperienze, cominciamo a pensarci molto meno», ha detto. «Altrimenti la nostra mente cercherà di portarci continuamente negli stessi “luoghi” e, di conseguenza, ci farà rivivere le esperienze negative di cui vogliamo liberarci».
- Prenditi una pausa dall’analisi delle tue chiacchiere. Per Kross i pensieri sono come un autobus: i passeggeri salgono e scendono, alcuni sono educati, altri no. Non possiamo decidere chi sale e chi scende, ma possiamo controllare gli sforzi che facciamo per individuare i passeggeri maleducati.
- Sfogarsi ha un suo valore e spesso fa stare bene, ma ti si può ritorcere contro. Bisogna fare attenzione alla “co-ruminazione”. In altre parole, un amico che ci supporta in tutto sta ovviamente cercando di aiutarci, ma mentre soddisfa i nostri bisogni emotivi (di essere ascoltati e avere conferme), non aiuta i nostri bisogni cognitivi (il bisogno di chiudere le questioni aperte e mettere ordine). Questo può portare a soffermarci ancora di più sul dialogo interiore. Invece di andare verso gli amici che più sono soliti prendere le nostre difese, meglio avere vicino chi tende ad aiutarci a riformulare i pensieri, o che ci porta a valutare altre prospettive.
- Parla a te stesso in seconda o terza persona (di questo avevamo già scritto qui). Kross qui cita un episodio personale. Subito dopo che lui e sua moglie avevano avuto un bambino, ricevettero una minaccia anonima. Kross si ritrovò ad aggirarsi per il salotto con una mazza da baseball in mano e a sbirciare attraverso le persiane. Non riusciva a smettere di pensarci e stava per mettersi in cerca di guardie del corpo per accademici, prima di rendersi conto che era un piano privo di senso. «Ethan, cosa stai facendo?», si chiese. Questo fu sufficiente per iniziare un processo di elaborazione del problema.
- Se proprio non riesci a smettere di chiederti “Cosa sarebbe successo se…”, prova a sostituirlo con “E allora?”. Per esempio: “Ok, sto continuando a pensare a un orso bianco. E allora? Capita anche ai migliori”. Come ha detto Kross, «Il bello di “E allora?” è che capovolge l’intera narrazione interna. La neutralizza».
(Foto di Vince Fleming su Unsplash )
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