Cosa dovremmo o non dovremmo mangiare per “stare bene” è una cosa che l’uomo si chiede da sempre. Nel corso della storia si sono succeduti approcci basati sulle teorie più diverse, unendo spesso l’osservazione a questioni culturali e morali. Lo sviluppo della scienza ha poi cambiato le cose, introducendo un’idea più meccanicista del corpo umano e del suo funzionamento. Le tendenze recenti sono poi andate verso una visione più olistica ed ecologista della materia.
La testata JSTOR Daily ha sintetizzato un articolo del politologo Tripp Rebrovick sul tema, che descrive come queste questioni si sono evolute nel tempo nella società europea e tra i bianchi degli Stati Uniti.
Gli umori
Per secoli, il paradigma dietetico dominante per molti europei era basato sui quattro “umori” che i medici credevano governassero il corpo umano: sangue, bile gialla, bile nera e flegma (o muco). Gli umori definivano la personalità degli individui e corrispondevano alle stagioni dell’anno, alle fasi della vita umana e alle qualità: caldo, freddo, secco e umido. Questo significava che il cibo corretto da mangiare dipendeva dalle costituzioni individuali e dalle circostanze esterne e interne.
«Una persona “sanguigna”, in cui predomina il sangue, è calda e umida per natura e secondo questa impostazione dovrebbe quindi privilegiare cibi caldi e umidi, soprattutto in autunno, in età adulta, o in un ambiente freddo e secco», scrive Rebrovick.
Bilanciare correttamente gli umori era una questione di salute e moralità, mentre la golosità poteva portare verso malattie e vizi. Questa visione dell’alimentazione si affermò nell’antica Grecia e rimase molto presente fino all’inizio dell’era moderna.
Le idee scientifiche
Le cose cambiarono nel diciannovesimo secolo, quando nuove idee scientifiche presero piede. L’influente chimico Justus von Liebig spiegò la nutrizione e il cibo nei termini dei componenti essenziali degli alimenti, che possono essere incorporati nel corpo o bruciati come energia. Si tratta del concetto di caloria, che successivamente avrebbe permesso agli scienziati di quantificare il valore del cibo in termini di energia umana. La complessa visione delle regole alimentari basata sulle caratteristiche e le condizioni degli individui perse così terreno fino a essere abbandonata.
«Per Liebig, il corpo umano è qualcosa di molto standardizzato, piuttosto che presentare caratteristiche diverse per ciascun individuo», scrive Rebrovick. «Liebig giustifica questa affermazione sostenendo che tutti i corpi umani – anzi, tutti i corpi – sono composti dalle stesse sostanze chimiche».
Tale approccio, definito “nutrizionismo”, dava molto potere agli esperti e negli Stati Uniti è stato alla base di progetti statali volti al miglioramento della salute pubblica. Il conteggio delle calorie e dei grammi di proteine, carboidrati e grassi ha permesso alla politica di definire le forniture di cibo per le prigioni e gli eserciti, e poi di etichettare il cibo con informazioni nutrizionali».
L’eco-dietetica
Intorno agli anni ’60 del Novecento, il punto di vista degli europei e degli americani sul cibo cominciò a cambiare di nuovo. Una varietà di movimenti – quello per il biologico, Slow Food, il “chilometro zero”, e così via – ha promosso versioni diverse di quello che Rebrovick chiama un discorso eco-dietetico. Qui, il cibo sano è anche ecologicamente virtuoso e gustoso. Come scrive Alice Waters, un’icona del movimento del cibo biologico e locale, «l’ambientalismo può essere qualcosa che ti colpisce nel modo più intimo e letteralmente viscerale. Può essere qualcosa che ti entra dentro e viene digerito».
Rebrovick scrive che l’eco-dietetica è emersa in gran parte come una critica al modello nutrizionista, rifiutando i sistemi alimentari di tipo industriale e il trattamento degli alimenti come pacchetti intercambiabili di componenti chimici. Ma si differenzia anche nettamente da una visione del cibo basata sugli umori, presentando il mangiare come una questione di valori che si estende al di fuori dell’individuo per raggiungere la comunità ecologica in cui vive.
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