Come abbiamo scritto più volte, la pandemia ha portato alcuni cambiamenti nelle pubblicazioni scientifiche. Se anche non c’è stata la rivoluzione che molti auspicavano verso l’accessibilità degli articoli e dei dati sottostanti, alcuni processi già in corso hanno subito un’accelerazione e si sono presentate alcune novità.
Una delle tendenze notate da alcuni ricercatori è che con il COVID-19 è cambiato qualcosa nel linguaggio usato all’interno degli abstract degli articoli. L’abstract è il paragrafo introduttivo che sta tra il titolo e l’articolo vero e proprio. In esso i ricercatori sono tenuti a sintetizzare il contesto del loro studio, i risultati emersi, le loro possibili implicazioni. Il modo in cui sono scritti è piuttosto importante, visto che sono la parte che serve agli altri scienziati (o ai giornalisti con le necessarie competenze) per capire se vale la pena di continuare a leggere le successive 10-20 pagine fitte di testo, tabelle, formule e grafici.
In particolare, hanno notato tre ricercatori, negli articoli scientifici relativi al coronavirus è leggermente diminuito l’uso di aggettivi con accezione negativa, mentre sono aumentati di molto quelli positivi, assieme alle cosiddette hedge words, ossia parole “protettive”. Per fare un esempio: “Il farmaco xy potrebbe essere efficace contro i casi più gravi di COVID-19″. Qui “efficace” è l’aggettivo con accezione positiva, mentre “potrebbe” è la hedge word. Qualcosa che si usa per prevenire possibili critiche da parte dei colleghi, o per mettersi al riparo da eventuali smentite date da prove contro-fattuali.
Si tratta insomma di un atteggiamento ambiguo: da una parte si eccede nel presentare i risultati come più promettenti di quanto probabilmente sono, dall’altro si usano formule prudenziali per evitare grane.
Come spiegavamo altrove, dall’inizio della pandemia sono aumentati di molto gli articoli pubblicati in preprint, quindi non passati al vaglio di colleghi incaricati di verificarne la correttezza e affidabilità prima che siano diffusi. Una pratica che richiede talvolta dei mesi e che non ci si poteva permettere in una fase convulsa come quella dello scorso anno. Forse anche questo ha portato i ricercatori a tutelarsi con più hedge words rispetto a quando gli articoli vengono invece diffusi dopo avere superato con successo la revisione tra pari. Forse anche la consapevolezza degli scienziati che, con una pandemia in corso, il pubblico dei lettori si sarebbe potuto allargare oltre quello “abituale” ha contribuito a mitigare la tendenza altrimenti smaccatamente promozionale dei propri lavori.
Qui sotto si possono vedere gli andamenti degli aggettivi positivi (linee verdi), negativi (linee rosse) e hedge words (linee gialle) prima e dopo la pandemia in diversi archivi di pubblicazione (le colonne), in termini percentuali (la metà superiore) e assoluti (la metà inferiore).
«Sappiamo che, anche in circostanze normali, i ricercatori tendono a esagerare i propri risultati e a usare formule promozionali per pubblicare di più, far avanzare la loro carriera o ottenere finanziamenti – scrivono gli autori dello studio –. L’abstract è noto per essere un genere promozionale, che prevede un uso eccessivo di termini positivi e frasi ottimistiche volte a convincere il lettore (i nostri risultati suggeriscono effetti promettenti su…”, “questo studio potrebbe fornire una nuova visione su…”). L’intento promozionale negli abstract mira a catturare l’attenzione del lettore e a invitarlo a continuare la lettura».
Gli autori della ricerca hanno analizzato un corpus di quasi 24mila abstract di articoli pubblicati in preprint su sette diversi server. Altre ricerche in passato avevano notato la tendenza dei ricercatori a esagerare il peso dei risultati dei propri studi. La parola novel (che vuol dire “nuovo” ma anche “originale, fresco”) negli anni ’90 sembrava aver sostituito la più neutra new. Oggi, secondo gli autori, siamo forse all’inizio di un processo in cui a novel si sta sostituendo effective, cioè “efficace”, per definire gli ultimi progressi della medicina.
Gli editori mettono in campo strategie per limitare questo tipo di fenomeni, che tendono a distorcere il lavoro di ricerca scientifica, con la creazione di linee guida o manuali di stile che vietano l’uso di esagerazioni. Ma l’appello degli autori di questo studio va ai loro colleghi scienziati: «Gli abstract sono spesso l’unica parte del lavoro che verrà letta e quindi l’eccesso di promozione susciterà false aspettative, che non saranno confermate dalla lettura del testo completo – scrivono –. La combinazione di promessa e incertezza trasmessa da un gran numero di preprint messi in circolazione può aver contribuito all'”infodemia” denunciata dall’Oms a giugno del 2020. La nostra raccomandazione è che gli autori (noi compresi) si prendano il tempo per scrivere con attenzione i loro abstract e per riflettere sull’uso delle parole. Gli abstract sono una finestra sul resto dell’articolo scientifico e, se riportano imprecisioni, rischiano di screditare l’articolo stesso».
(Foto di Nick Fewings su Unsplash )
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