Quando ci si immagina il proprio lavoro “ideale”, di solito si pensa alla professione in sé: scrittore, imprenditore, vigile del fuoco, ingegnere informatico, ecc. Più raramente si pensa al contesto in cui il lavoro avviene come la prima cosa che determina il grado di soddisfazione del lavoratore o lavoratrice. Eppure, secondo numerose ricerche, nel determinare la valutazione contano molto di più le finalità e il senso di realizzazione.
Ne scrive in maniera approfondita Arthur Brooks nella sua rubrica per l’Atlantic. Innanzitutto, bisogna fare l’ovvia premessa che, per essere soddisfatti del proprio lavoro, bisogna averne uno. La disoccupazione è infatti tra le principali fonti di infelicità e diversi studi hanno trovato una correlazione tra i livelli di disoccupazione e il tasso di suicidi nei diversi paesi.
Uno dei primi fattori che vengono alla mente nel definire il grado di soddisfazione è quello economico. Alcuni economisti hanno però notato che gli aumenti in busta paga hanno un effetto positivo solo nel breve periodo. Inoltre, incrementi regolari, per quanto contenuti, portano più felicità rispetto ad aumenti di maggiore entità ma su intervalli di tempo più lunghi.
A pesare di più sono invece i valori portati avanti dall’organizzazione in cui si lavora, e dalle persone con cui e per cui lo si fa. Secondo una ricerca, per esempio, la soddisfazione sul lavoro dipende dal senso di realizzazione che offre, dal riconoscimento ottenuto per un lavoro ben fatto e dall’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Molti studi nel corso di decenni hanno dimostrato che le persone più soddisfatte del proprio lavoro sono quelle che si riconoscono maggiormente nei valori del loro datore di lavoro, in particolare quando questi hanno un particolare significato morale, filosofico o spirituale.
Le ricerche che invece si sono concentrate sul primo aspetto che citavamo in apertura, ossia la professione in sé, non sono arrivate ad alcun risultato significativo. Le varie classifiche sulle “professioni più felici” comprendono infatti i mestieri più diversi: dall’assistente alla didattica allo sviluppatore di rete allo specialista di marketing. E lo stesso vale all’opposto (con le dovute eccezioni) per quelle più “infelici”: contabile, guardia di sicurezza, cassiere, supervisore.
Quando ci si interroga sulla carriera da seguire, dunque, secondo Brooks non è prioritario concentrarsi sul lavoro in sé. È più importante rimanere flessibili e sperimentare situazioni diverse, purché rispettino due obiettivi.
Il primo è trovare un lavoro che porti al “successo”, inteso come senso di realizzazione e di efficacia professionale. I datori di lavoro che danno indicazioni e feedback chiari, che premiano il merito e incoraggiano i loro dipendenti a sviluppare nuove competenze sono quelli che più probabilmente provocheranno nei propri dipendenti queste sensazioni. Il consiglio è quindi di cercare un ambiente in cui questo avvenga (oppure di crearlo, se si ricopre un ruolo dirigenziale).
Il secondo obiettivo da perseguire è la sensazione che il proprio lavoro contribuisca a rendere il mondo un posto migliore. Questo non significa fare volontariato o lavorare per un ente di beneficenza. Al contrario, è una sensazione che si può ritrovare in tantissime tipologie di lavori.
L’altra faccia della medaglia è che, se la soddisfazione nel lavoro dipende da criteri così poco legati alla professione in sé, in un attimo il lavoro ideale può diventare un inferno, al mutare del contesto. Basta che cambi il gruppo dirigenziale, o alcuni colleghi, o le procedure organizzative, affinché salti tutto.
Il rapporto con il proprio lavoro è sempre una questione delicata, ma forse il segreto per non ritrovarsi in situazioni spiacevoli (o per uscirne) sta nel togliere la responsabilità della nostra soddisfazione alle mansioni in sé e portare l’attenzione alle sensazioni date dal fatto di sentirsi in un ambiente che riconosce i nostri meriti e in cui sentiamo che stiamo in qualche modo contribuendo a migliorare il mondo. Spesso non è quindi necessario rivoluzionare il proprio percorso professionale per sentirsi bene al lavoro. È più importante concentrarsi sui dettagli.
(Foto di Rob Lambert on Unsplash)
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Quando è nata Avis Legnano i film erano muti, l’Italia era una monarchia e avere una radio voleva dire essere all’avanguardia. Da allora il mondo è cambiato, ma noi ci siamo sempre.