È un periodo difficile per chi si occupa di cooperazione. Secondo un comunicato di Open cooperazione, «Il 68 per cento delle organizzazioni non governative prevede un bilancio in perdita per il 2020». Come si può immaginare, la pandemia ha inciso molto, in maniera negativa, sulla raccolta fondi. «Le donazioni degli italiani – si legge nella nota – hanno registrato una virata importante verso gli enti sanitari che hanno affrontato direttamente la pandemia in Italia con in prima fila le fondazioni degli ospedali più importanti del Paese. Le ong, nonostante siano sempre più impegnate anche sul campo in Italia, restano conosciute principalmente per il loro lavoro all’estero». Probabilmente quindi il 2020 si fermerà ben al di sotto del miliardo di euro di fondi (di cui il 62 per cento provenienti da donatori istituzionali e il resto da donatori privati) raccolti nel 2019.
Diventa interessante, in questo contesto, sapere che il bilancio dell’Unione europea sta attraversando un’importante trasformazione per quanto riguarda questo capitolo. Come spiega Openpolis, infatti, «Fino al 2020 la politica europea di cooperazione era gestita attraverso l’European development fund (Edf), un fondo che negli anni 2014-2020 aveva raggiunto la sua undicesima edizione, con un finanziamento di circa 30 miliardi di euro». Non una cifra particolarmente elevata in relazione al bilancio complessivo, e inoltre l’Edf soffriva di un problema strutturale, ossia di essere uno strumento intergovernativo. In sostanza non faceva parte direttamente del bilancio pluriennale europeo. Nel 2018 è arrivata una proposta da parte della Commissione europea di istituire un nuovo strumento, il Neighbourhood, development and international cooperation instrument (Ndici), che avrebbe avuto una dotazione di 89,2 miliardi di euro. La fase di contrattazione con il Parlamento europeo seguita alla proposta, giunta al termine a dicembre 2020, ha portato a un ridimensionamento del budget, chiuso a 70,8 miliardi di euro (79,5 miliardi a prezzi correnti) per i prossimi sette anni. Il fondo è dunque uscito indebolito dalla contrattazione, ma certo è positivo che sia aumentato di oltre il doppio rispetto al bilancio 2014-2020 e abbia cambiato natura. Va detto che il testo di legge deve ancora essere adottato, ma l’accordo raggiunto tra le due istituzioni è già piuttosto chiaro.
Come si vede nel grafico a seguire, e come spiega Openpolis, «Il Ndici è ripartito in quattro voci principali di cui due più propriamente programmatiche e due che stanziano fondi per eventi non del tutto definibili o programmabili a priori. La voce principale è quella destinata a programmi geografici in aree predefinite».
«Un'altra voce importante è quella relativa ai programmi tematici per cui sono previsti 5,6 miliardi (8 per cento del Ndici). Con questi fondi dovranno essere finanziati programmi per la promozione dei diritti umani, della democrazia, della pace e della stabilità internazionale. Infine vengono allocati 2,8 miliardi per le azioni a risposta rapida (come emergenze o crisi umanitarie) e 8,4 miliardi per fornire all'Unione le risorse per rispondere prontamente a sfide emergenti e non prevedibili».
Le criticità del Ndici
L'aspetto critico dell'accordo è quello della condizionalità, ossia il vincolo per cui il 10 per cento dei fondi del Ndici dovrà essere destinato a progetti relativi alla politica migratoria europea. Quello del sorvegliamento dei confini è un tema affrontato in maniera molto controversa da parte dell'UE, e il fatto che i fondi destinati alla cooperazione internazionale finiscano per contribuire a politiche sicuritarie già ampiamente criticate è un aspetto che non si può trascurare.
«Il timore – scrive Openpolis –, espresso dalla società civile, ma anche dallo stesso parlamento, è che queste risorse possano servire ad alimentare politiche incentrate sulle cosiddette condizionalità negative verso i paesi di origine o di transito dei migranti. Politiche basate sull'esternalizzazione delle frontiere, da perseguire con tutti mezzi e spesso mettendo a rischio i diritti umani, oppure come forma di pressione e condizionamento per l’erogazione di risorse per la cooperazione allo sviluppo. Certo per quanto rilevante si tratta di una quota minoritaria degli importi in questione. Tuttavia resta il fatto politico che i fondi per l'aiuto pubblico allo sviluppo dovrebbero avere come scopo di ridurre povertà e ineguaglianza senza imporre condizioni ai paesi partner. Si tratta a tutti gli effetti di un presupposto sbagliato che rischia di minare in partenza la credibilità della nuova politica europea di cooperazione».
(Foto di Céline Martin su Pixabay)
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