Immaginate di dover capire perché un amico sembra triste anche se dice di stare bene o di anticipare la reazione di un collega a una nuova proposta. Queste interazioni sociali quotidiane si basano su un’abilità cruciale: la capacità di comprendere che le altre persone hanno pensieri, sentimenti e convinzioni che possono differire dai nostri e dalla realtà. Questa abilità, spesso definita “teoria della mente” o “lettura della mente”, è un aspetto fondamentale della vita sociale umana.
Come spiega su Psyche uno psicologo dello sviluppo, comprendere come questa capacità si sviluppi nell’infanzia è una questione di lunga data. Gli studi condotti sui bambini piccoli forniscono preziose indicazioni sugli elementi fondamentali di questa complessa abilità. Pensate a un comune trucco infantile: un fratello maggiore che mostra a uno più piccolo un contenitore di dolci familiare, magari facendolo tintinnare per suggerirne il contenuto, per poi rivelare una sorpresa al suo interno, come delle biglie al posto dei cioccolatini. Il trucco funziona se il fratello maggiore riesce a capire ciò che il fratello minore crederà basandosi sugli indizi familiari. Solo verso i quattro o cinque anni i bambini sviluppano una teoria della mente flessibile, comprendendo che gli altri possono avere convinzioni non vere. Questa comprensione permette loro di prevedere il comportamento degli altri sulla base di tali convinzioni, anche quando sono false.
Storicamente, due idee principali hanno dominato le discussioni riguardanti lo sviluppo della teoria della mente. Una di queste, nota come “teoria della simulazione”, suggerisce che comprendiamo gli altri immaginando noi stessi nella loro situazione, in altre parole, chiedendoci: “Cosa penserei o proverei se fossi io al loro posto?”. L’altra prospettiva propone che sviluppiamo qualcosa di simile a una “teoria” della mente, utilizzando regole generali come “se qualcuno vuole qualcosa e crede di sapere dove si trova, lo cercherà”. In realtà, gli adulti utilizzano probabilmente una combinazione di entrambi gli approcci.
Recenti ricerche hanno approfondito gli elementi costitutivi dello sviluppo che permettono di arrivare alla teoria della mente. Un’attenzione particolare è stata rivolta al ruolo della metacognizione, ovvero la nostra capacità di riflettere sui nostri pensieri (nota anche come introspezione), e dell’autocontrollo, ovvero la capacità di inibire le nostre risposte immediate. I ricercatori hanno ipotizzato che, affinché un bambino possa capire che qualcun altro ha una falsa credenza, deve prima afferrare il concetto stesso di credenza, il che richiede un certo livello di autoriflessione. Inoltre, la capacità di mettere da parte la propria conoscenza della realtà è considerata cruciale per prevedere accuratamente la prospettiva altrui (potenzialmente errata), suggerendo un ruolo per l’autocontrollo.
Uno studio longitudinale ha seguito un gruppo di bambini scozzesi di età compresa tra i tre e i quattro anni per un periodo di 18 mesi, valutando il loro sviluppo in termini di metacognizione, autocontrollo e teoria della mente. I ricercatori hanno scoperto che, nella maggior parte dei casi, la competenza nella metacognizione emergeva per prima, seguita dall’autocontrollo e, infine, dalla teoria della mente. Ciò suggerisce che la capacità di riflettere sui propri pensieri e di esercitare un certo autocontrollo per considerare prospettive diverse dalle proprie può rappresentare un passo fondamentale per sviluppare la capacità di ragionare sugli stati mentali degli altri. Lo studio ha anche trovato prove che suggeriscono che l’introspezione metacognitiva potrebbe sostenere lo sviluppo del controllo inibitorio, che a sua volta contribuisce alla teoria della mente.
Queste intuizioni sull’emergere della teoria della mente hanno implicazioni pratiche. Le difficoltà nel ragionamento sociale, talvolta associate a neurodivergenza o a uno sviluppo limitato dell’interazione sociale e del linguaggio, potrebbero essere affrontate meglio concentrandosi su queste abilità fondamentali. Invece di insegnare direttamente a conoscere i pensieri altrui, incoraggiare l’autoriflessione e l’autocontrollo nei bambini potrebbe costituire un percorso più accessibile per comprendere i pensieri degli altri. Ad esempio, l’utilizzo di supporti visivi per rappresentare i processi di pensiero del bambino potrebbe essere un buon punto di partenza.
La ricerca evidenzia anche che i percorsi di sviluppo della teoria della mente potrebbero non essere universali. Studi che hanno messo a confronto bambini di società occidentali incentrate sull’indipendenza con quelli di culture più interdipendenti, come quella giapponese, hanno rivelato alcune differenze sorprendenti. Ad esempio, i bambini delle società interdipendenti tendono a mostrare precocemente l’autocontrollo, ma sviluppano la teoria della mente più tardi rispetto ai loro coetanei occidentali. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i compiti standard di teoria della mente sono concepiti in modo da riflettere l’enfasi occidentale sulle intenzioni individuali. Questo potrebbe anche indicare vere e proprie variazioni culturali nel modo in cui le persone si rappresentano mentalmente se stesse e gli altri. Uno studio che ha coinvolto bambini scozzesi e giapponesi ha rilevato che, mentre l’introspezione era legata all’autocontrollo in entrambi i gruppi, nei bambini giapponesi non era fortemente correlata allo sviluppo della teoria della mente. Ciò suggerisce che nelle culture in cui le prospettive condivise sono più centrali, i precursori dello sviluppo della comprensione della mente altrui potrebbero seguire una traiettoria diversa, forse facendo meno affidamento sulle capacità individuali di comprensione della mente. In definitiva, comprendere come i bambini imparano a “leggere” la mente è fondamentale per promuovere uno sviluppo sociale sano. Anche se le tappe specifiche possono variare da una cultura all’altra, la capacità di riconoscere che gli altri hanno un proprio mondo interiore rimane una pietra miliare della connessione umana.
(Foto di Marcus Wallis su Unsplash)
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