Uno studio pubblicato di recente sembra dimostrare che a seconda del gruppo sanguigno si possano sviluppare forme più o meno gravi del COVID-19. In particolare, sembra che i gruppi 0 sviluppino sintomi meno gravi rispetto ai gruppi A. La ricerca è pubblicata sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, ha coinvolto centri di ricerca italiani, tedeschi, norvegesi e spagnoli e si è concentrata su dati provenienti da ospedali di Spagna e Italia, tra i paesi che sono stati più colpiti dalla pandemia. La ricerca non è in grado di dire il perché della correlazione tra gruppo sanguigno e gravità dei sintomi, ma i dati sembrano confermare che sui pazienti del gruppo A si sia riscontrato «un maggior rischio di danni al loro apparato respiratorio, messo sotto forte stress dall’infezione virale e dalla risposta immunitaria che talvolta può finire fuori controllo, aggravando la situazione», come sintetizza il Post. Questi risultati confermano quelli di uno studio simile svolto in Cina nei mesi scorsi, ma quello europeo ha approfondito la questione analizzando anche il genoma delle persone che facevano parte del campione, «rilevando che il gruppo sanguigno può essere utilizzato per prevedere con un buon grado di approssimazione la gravità dei sintomi comportati dalla COVID-19. I ricercatori hanno anche identificato una porzione del DNA nel cromosoma 3 che sembra essere coinvolta nelle modalità in cui si sviluppa la malattia». Sapere in anticipo il livello di gravità che avrà la malattia può essere un parametro utile per future cure. Per esempio si potrebbero elaborare terapie farmacologiche di diverso tipo a seconda del soggetto infetto, oppure decidere di inserire le persone con gruppo sanguigno A tra quelle a cui destinare con priorità più alta il vaccino (se e quando ci sarà). I risultati della ricerca sono rilevanti anche perché, da ulteriori approfondimenti, si potrebbero trarre informazioni utili per la realizzazione del vaccino. Serviranno anche da stimolo a fare altre ricerche per cercare di capire le cause del legame tra sintomi e gruppi sanguigni, al momento sconosciute. Una cosa importante da tenere presente è che la ricerca non stabilisce chi ha più probabilità di contrarre il virus. I dati analizzati riguardano solo la gravità dei sintomi in chi si è già infettato. Ulteriori studi in questo senso non permetteranno quindi di prevedere chi ha più probabilità di ammalarsi, bensì la maggiore o minore gravità della malattia tra chi contrae il virus.
(Foto di National Cancer Institute su Unsplash)