Il 9 febbraio era il Safer internet day, giornata mondiale dedicata alla sicurezza nell’utilizzo dei più diffusi strumenti di comunicazione digitale, dalla navigazione su internet all’interazione sulle piattaforme social che si sono sviluppate negli ultimi anni. Assieme a queste pratiche è nata una nuova parola, cyberbullismo, che identifica tutti quegli atti intimidatori, lesivi della dignità e della reputazione della persona, che come la loro versione offline sono in grado di rovinare l’adolescenza, se non la vita di alcuni ragazzi. Innanzitutto va chiarito che, come tutte le cose tecnologiche, internet non è né buona né cattiva. È chi la usa che sceglie cosa farne.
Certo il fatto che un’immagine o un video inappropriati possano essere diffusi a un vastissimo pubblico in pochi secondi amplifica di molto le conseguenze negative dell’azione, dunque bisogna prestare la massima attenzione sull’uso delle nuove tecnologie. In questo senso, sono sempre attuali le parole del filosofo Umberto Galimberti, che nel suo libro Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, scriveva (nel 1999, quando Facebook era ancora dentro la testa di Mark Zuckerberg): «Siamo tutti persuasi di abitare l’età della tecnica, di cui godiamo i benefici in termini di beni e spazi di libertà. Siamo più liberi degli uomini primitivi perché abbiamo più campi di gioco in cui inserirci. Ogni rimpianto, ogni disaffezione al nostro tempo ha del patetico. Ma nell’assuefazione con cui utilizziamo strumenti e servizi che accorciano lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, vanificano le norme su cui sono state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci se il nostro modo di essere uomini, non è troppo antico per abitare l’età della tecnica che non noi, ma l’astrazione della nostra mente ha creato, obbligandoci, con un’obbligazione più forte di quella sancita da tutte le morali che nella storia sono state scritte, a entrarvi e a prendervi parte». Siamo dunque oltre il concetto apocalittico e un po’ retro di un uomo “schiavo delle macchine”: siamo immersi nella tecnica, al punto che non la vediamo. Questo vale soprattutto per i più giovani, che non hanno vissuto l’epoca in cui usare un computer era una cosa difficile. In pochi decenni la tecnologia è diventata sempre più invisibile, il suo funzionamento misterioso, il suo utilizzo meno consapevole. Vale per i computer, gli smartphone, i tablet, ecc.
Per capire quanto i ragazzi si rendano conto dei rischi e delle opportunità incarnate da internet, è utile leggere i dati raccolti da un’indagine svolta da Terre des Hommes, condotta su più di 1.600 adolescenti tra i 14 e i 19 anni: «Per l’81,5 per cento degli intervistati è chiaro il pericolo nello scambiarsi foto o video a sfondo sessuale via sms o chat, ma solo il 38,7 per cento accetterebbe una qualche forma di controllo su questa attività (ma il 44,1 per cento delle ragazze, probabilmente più consapevoli di esserne sovente le vittime). L’81,7 per cento degli intervistati (ma l’85,2 per cento delle ragazze) pensa di essere “brava/o a proteggere la propria privacy su Internet”, ma al contempo sembra trasparire una certa disponibilità a fidarsi, dimenticando che la rete e i file digitali raramente garantiscono il diritto all’oblio. Il 54,3 per cento ritiene, infatti, che le proprie foto a sfondo sessuale andrebbero condivise solo tra persone che si fidano ciecamente l’una dell’altra senza tenere in conto, però, che in questo campo la fiducia rischia di essere sempre mal riposta. Non a caso, probabilmente, proprio le ragazze che sono le principali vittime del sexting, rispondono solo al 45,7 per cento di essere d’accordo con questa affermazione. Rimane viva l’illusione che Internet sia uno schermo dietro cui nascondersi o attraverso il quale mettere in scena una vita diversa, virtuale: il 34,7 per cento pensa ancora che quello che gli accade su Internet sia appunto solo virtuale, in contrapposizione a un reale inteso solo come fisico. Il 43,1 per cento ammette di comportasi online in maniera differente da come farebbe offline».
A livello legislativo, il fenomeno non è ancora stato pienamente compreso e regolato. Una proposta di legge è stata presentata il 23 gennaio 2014 in Parlamento. Il testo è arrivato alla commissione competente il 29 maggio dello stesso anno, in seguito è stata avviata un’indagine conoscitiva: ancora in corso. La materia è in effetti complessa da affrontare. Chi ci sta provando, tra gli altri, è lo scrittore e regista Ivan Cotroneo, che attraverso un racconto parla ai ragazzi nelle scuole di due temi molto delicati: le offese relative all’orientamento sessuale e quelle che spesso subiscono le ragazze che hanno una vita sessuale libera. Ciò su cui bisogna intervenire è il contesto, e non è facile, perché ogni aspetto della vita contribuisce a creare il sistema di valori distorto con cui ragiona il “bullo”: «I bulli crescono e proliferano in un mondo in cui le parole che indicano un orientamento sessuale non sono parole neutre, ma sono di fatto insulti. I bulli diventano più forti in un mondo in cui i politici, invece di preoccuparsi dei diritti e del benessere delle persone tutte, scendono in campo a delirare su cosa sarebbe naturale e cosa non lo è».
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