Il mondo dello spettacolo ha risposto al lockdown con una certa creatività, cercando di offrire al pubblico ogni sorta di performance online e in streaming. Ciò non toglie che le stagioni teatrali siano ferme ormai da quasi due mesi, con enormi problemi per tutti coloro che lavorano nel settore. Andrea Porcheddu, su Che-Fare, prova ad analizzare la complessità della situazione, interrogandosi su come uscirne.
Pare di essere come Vladimiro e Estragone, in attesa di Godot. Che non arriva. O che potrebbe arrivare in forma di decreto Cura Italia o di emendamenti.
Per quel che riguarda il teatro e lo spettacolo dal vivo, infatti, i riflessi non solo economici, sociali, professionali ma anche emotivi e culturali della sospensione delle attività in Italia, in seguito alle restrizioni dovute alla pandemia, stanno emergendo in tutta la loro evidenza.
Le contraddizioni di un sistema spinto, negli anni passati, a una frenetica attività iperproduttiva, si riverberano oggi nella difficoltà di immaginare una Fase 2 che non lasci indietro nessuno. Il governo sta facendo qualche (piccolo) sforzo per pensare a delle soluzioni, immettendo una cifra (bassa) per tamponare l’emergenza della mancata attività.
Oppure ipotizza un “Netflix della Cultura” – parole del Ministro Dario Franceschini – per sperare in un futuro migliore. Così, come per magia, ci siamo trovati tutti a parlare dell’eventuale palinsesto della novella Tv e nessuno che si ricorda più della miseria della suddetta cifra, dei 130milioni annunciati per salvare il settore, di cui appena 30 andrebbero – a quanto pare – al Fus. Ma siamo ottimisti! Una salva di hurrà, vedremo tanto teatro on demand!
Va bene, va benissimo: c’è bisogno di più spazio alla cultura e al teatro nelle programmazioni culturali della tv sia privata che pubblica, questi ultimi per ora lasciati in gran parte a Gigi Marzullo. E anche il AD Rai Salini si è detto d’accordo, rispondendo sul “Corriere della Sera” a una petizione lanciata da Piero Maccarinelli e firmata da molti artisti.
Sia chiaro: siamo innamorati degli archivi, vanno benissimo le trasmissioni di approfondimento – peraltro chi vi scrive ne ha condotte un paio, in quella tv che si chiamava Stream, poi diventata Sky, e a RaiSat, con Franco Scaglia, un uomo di televisione che amava profondamente il teatro – ci piacciono le dirette e le differite, le sincro e le fuorisincro, le produzioni e le riproduzioni.
Però, ricordo sommessamente, il problema non è tanto salvare il teatro in tv, quanto salvare il teatro in teatro. E che forse la cultura potrebbe elaborare altri modelli (culturali appunto) rispetto alle piattaforme commerciali e di intrattenimento di stampo televisivo.
Anche perché, nella frenesia delle attività in streaming, si sta diffondendo anche il malcostume di pensare a “prestazioni” sempre e solo a titolo gratuito. Ce lo possiamo immaginare: “tanto che ti costa? Sei a casa! Basta che leggi un testo davanti al computer!”. Se pure l’attività di questi giorni ha saputo portare alla luce reperti video, e se pure qualcuno sta tentando formule di intrattenimento o informazione online, resta il fatto che il gioco è sempre al ribasso economico o alla gratuità. Insomma, oltre il danno, la beffa.
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(Foto di Rob Laughter su Unsplash)