Nel 2020 e nel 2021, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha annunciato la comparsa di varianti del coronavirus dando loro nomi tratti dall’alfabeto greco. Quest’anno si continua a parlare di Omicron e delle sue sottovarianti, chiamandole però con sigle molto meno accattivanti come BA.2.12.1. Dato che nel prossimo futuro il virus SARS-CoV-2 continuerà a generare nuove varianti, può essere interessante capire in che modo vengono assegnati questi nomi.

Come si identifica una variante?

Come spiega un articolo pubblicato su Nature, il SARS-CoV-2 subisce mutazioni quando si replica. Tecnicamente, questo significa che probabilmente ogni giorno nascono milioni di varianti. La maggior parte di queste però non migliora la capacità del virus di sopravvivere e riprodursi, e quindi viene superata da versioni più efficienti.

Una piccola parte di queste varianti, tuttavia, riesce a imporsi. Quando ciò accade, i ricercatori che studiano l’evoluzione dei virus individuano dei campioni rappresentativi di una stessa serie di mutazioni distinte. Per scoprire se questi campioni costituiscono un nuovo ramo dell’albero genealogico del SARS-CoV-2, entrano in gioco i bioinformatici, che hanno stabilito sistemi di nomenclatura per il virus e che confrontano le sequenze dei campioni con centinaia di altri utilizzando un software.

L’articolo su Nature si concentra su uno tra i più celebri di questi gruppi di lavoro, di nome Pango. Se l’analisi suggerisce che i nuovi campioni sono derivati dallo stesso antenato comune recente, significa che costituiscono un ceppo distinto nell’albero dei coronavirus. Nel determinare se dare un nome al ceppo, Pango considera con che frequenza le varianti sono apparse nel tempo e se le mutazioni si trovano in regioni del virus che potrebbero dargli un vantaggio competitivo. L’etichetta del ceppo in questo caso non indica un rischio. Piuttosto, consente agli scienziati di tenere d’occhio una variante e di saperne di più.

Come vengono dati i nomi alle varianti?

Nell’assegnare un nome a una variante, il comitato Pango utilizza un sistema gerarchico che indica la sua storia evolutiva e quando è stata individuata. Le lettere iniziali seguono una sequenza da A a Z, seguita da AA a AZ, da BA a BZ e così via. I numeri successivi, separati da un punto, indicano l’ordine dei rami di quel ceppo. Ad esempio, BA.1, BA.2, BA.3, BA.4 e BA.5 sono i primi cinque rami che discendono da un antenato Omicron. BA.2.12.1 è il dodicesimo ceppo che si dirama da BA.2, e quindi il primo ramo di quel dodicesimo arbusto a cui viene dato un nome. Tutte le sottovarianti sono varianti, ma i ricercatori usano il primo termine quando vogliono lasciare intendere che i ceppi appartengono a un gruppo più ampio, come Omicron.

Se una variante elude il sistema immunitario in modo molto più efficace di altre in circolazione, provoca malattie più gravi o è molto più trasmissibile, l’Oms potrebbe considerarla una “variante preoccupante” e cambiarne il nome con una lettera greca. Per esempio, l’anno scorso le molteplici mutazioni riguardanti una variante etichettata come B.1.1.529, insieme alla sua rapida crescita, hanno spinto l’Oms a cambiarne il nome in Omicron a novembre 2021. Mentre i nomi tecnici di Pango hanno lo scopo di aiutare i ricercatori a seguire l’evoluzione della SARS-CoV-2, dunque, il sistema dell’Oms si concentra sulla facilità di comunicazione verso il pubblico.

Le sottovarianti di Omicron potrebbero ricevere nomi greci?

La risposta è sì, spiega Nature, anche se finora non è successo. Alcuni ricercatori sostengono che le sottovarianti di Omicron che hanno alimentato le ultime ondate, come BA.4 e BA.2.12.1, meritino nomi più semplici per facilitare la comunicazione con governi e cittadini in un momento in cui la considerazione per le misure di controllo del COVID-19 sta diminuendo.

Ma l’Oms finora si è opposta a questa idea. «Il virologo dell’Oms Lorenzo Subissi afferma che la capacità di elusione immunitaria non è molto diversa tra le sottovarianti di Omicron – scrive Nature –, e aggiunge che la valutazione dell’agenzia potrebbe cambiare se studi futuri dimostrassero che una sottovariante di Omicron causa malattie più gravi rispetto ad altre varietà di Omicron».

(Immagine di Tumisu su Pixabay)

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