
Cosa spinge un uomo a picchiare la propria fidanzata? Cosa spinge quest’ultima a non denunciare e abbandonare il compagno non appena si rende conto di essere vittima di violenza fisica da parte di colui che dice di amarla? Sono domande che non hanno una risposta semplice, perché un rapporto tra due persone (senza dimenticare che talvolta i ruoli di vittima/persecutore sono invertiti, ed è l’uomo a subire gli attacchi della donna) è sempre un affare complesso, e i meccanismi psicologici che entrano in gioco sfuggono da una logica razionale. In questo senso, è esemplare il racconto di Leslie Morgan Steiner, che ha pubblicato sul Washington Post la sua storia d’amore con un uomo violento, durata quattro anni.
Poco prima di innamorarmi di un uomo che avrebbe abusato di me, confidai con certezza alla mia coinquilina di New York che non sarei mai stata tanto stupida da stare con un uomo che mi avesse picchiata. Come molte persone che hanno dei pensieri semplicistici riguardo la complessità di una relazione violenta, il fatto che non considerassi i pericoli di una relazione sentimentale fatta di abusi mi è costato caro.
Quando ho visto il video del giocatore di football americano Ray Rice che picchiava in un ascensore di Atlantic City la sua fidanzata Janay Palmer – e la successiva presa di posizione di lei a favore di Rice dopo che la settimana scorsa lo stesso Rice è stato escluso dai Baltimore Ravens e sospeso dalla NFL – mi sono ricordata di quanto possa essere difficile uscire da una relazione violenta.
Questi sono i momenti in cui rimpiango di non aver lasciato mio marito, un operatore finanziario di Wall Street laureato a una prestigiosa università, che conobbi a New York quando avevo 22 anni e mi ero appena laureata.
La notte che mi strangolò mentre facevamo sesso, tre mesi dopo l’inizio della nostra relazione: la considerai una cosa strana ma in qualche modo erotica (per lui, non per me).
Il giorno in cui ci trasferimmo nella stessa casa, e lui non mi rivolse parola perché un mio amico dell’università mi aveva chiamato per congratularsi per l’importante traguardo.
Il sabato in cui mi disse che stavo meglio senza trucco, e che quindi non avrei più dovuto metterlo.
La sera in cui mi stavo vestendo per uscire a cena e lui mi disse che ero una puttana perché la mia gonna era troppo corta.
La mattina in cui mi attaccò fisicamente per la prima volta (cinque giorni prima del nostro matrimonio): si giustificò, mentre teneva le mani attorno al mio collo, spiegando che gli ricordavo sua madre.
Un giorno della nostra luna di miele, quando mi diede un pugno così forte che sbattei la testa contro il finestrino della nostra macchina.
La notte in cui estrasse le chiavi dal blocchetto di accensione della nostra macchina mentre stavo guidando a 90 chilometri orari in autostrada.
Il giorno in cui mi disse che non avrei potuto passare il Natale con la mia famiglia.
La prima volta che minacciò di uccidere il nostro cane.
La prima volta che mi spinse giù dalle scale.
La prima volta che minacciò di premere il grilletto della pistola che teneva puntata alla mia testa, carica.
Ecco le ragioni per cui non lasciai mio marito:
Nessuno mi ha mai fatto sentire così protetta, amata, bella e importante come fece lui durante i primi mesi della nostra relazione.
Confusi la pietà che provavo per lui per amore: mi dispiaceva del fatto che fosse stato picchiato e lasciato senza cibo dal suo padrino, quando era piccolo.
Pensavo di essere l’unica donna che avrebbe potuto aiutarlo coi suoi problemi.
Fra una cosa e l’altra, mi faceva ancora ridere.
Lo amavo.
Solo Janay e Ray Rice sanno se la loro relazione ha avuto altri episodi di violenza a parte quello in ascensore, ma so bene che fatti del genere raramente rimangono isolati. Spesso fanno parte di uno schema preciso, che rimane lo stesso a prescindere dal livello di educazione, appartenenza etnica, genere e benessere economico delle due persone. Nella mia esperienza, le cose vanno così: grande storia d’amore. Isolamento da amici, famiglia, vicini e colleghi. Minacce di violenza. Atti di violenza. Scuse convincenti. Poi, si ricomincia da capo.
Una donna su quattro e un uomo su sette ha subito gravi atti di violenza all’interno di una relazione. Il periodo più rischioso per finirci dentro, per una donna, va dai 18 ai 34 anni. Mediamente occorrono sette atti di violenza – spesso compresi in un periodo di tempo di anni – perché la persona che subisce gli abusi – sia una donna sia un uomo – si convinca a troncare la relazione. Una volta che lo ha fatto, si trova in grande pericolo: molti degli omicidi di natura domestica accadono dopo l’interruzione di un rapporto di coppia.
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