«In Italia esiste una comunità viva e spesso estremamente competente di comunicazione della scienza, fatta di figure molteplici e diverse; eppure i media e la politica raramente attingono a questo bacino». Parte da questa considerazione un articolo di Massimo Sandal sullo stato della comunicazione della scienza in Italia.

La pandemia compare sui media per la prima volta con uno scarno comunicato della Commissione Municipale di Wuhan per la Salute, il 31 dicembre 2019, ripreso il giorno stesso da Reuters e South China Morning Post. Brevi trafiletti, quasi in imbarazzo per l’incertezza, che sono le prime gocce di un diluvio. Rapido come o più del virus, stava per dilagare il torrente di informazione sulla pandemia che ha dominato i media del pianeta per due anni, fino all’invasione russa dell’Ucraina a febbraio 2022.

Nel giro di poche settimane giornali e televisioni si sono riempiti di argomenti, fino a quel momento, esoterici per la grande maggioranza della popolazione. Il discorso di tutti i giorni si è colmato di vaccini a mRna, immunità cellulare e anticorpale, indici R0 e altri concetti di virologia ed epidemiologia, passati in un lampo dalla letteratura accademica ai talk show. Sembrerebbe la situazione perfetta per il trionfo della buona divulgazione e del giornalismo scientifico: una enorme quantità di informazioni complesse da comunicare a tutti i possibili settori di pubblico, in una situazione che è, letteralmente, di vita o di morte. Non è andata così.

In Italia esiste una comunità viva e spesso estremamente competente di comunicazione della scienza, fatta di figure molteplici e diverse: da chi cura mostre e musei, al giornalismo, a chi fa spettacoli teatrali, fino a un numero crescente di youtuber, streamer e divulgatori social. Eppure durante la pandemia i media e la politica raramente hanno attinto a questa serie di competenze che anzi, come vedremo, sono state addirittura osteggiate e messe da parte.

Il nodo centrale delle vicende degli ultimi due anni è questo: è stata comunicata tantissima scienza, ma pochissima da chi comunica scienza per mestiere. Secondo Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, «la comunicazione della scienza, specie come settore di ricerca, chiamiamola psicologia sociale, è stata ignorata durante la pandemia, anche se avrebbe potuto indirizzare una buona comunicazione. Avremmo potuto confrontarci con l’incertezza, con le paure, usare questa letteratura scientifica per modulare la comunicazione della scienza in senso alto. Questo non è successo da parte delle istituzioni, che ci hanno ignorato». Che cosa è successo, allora?

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