I criticati decreti “Sicurezza” approvati durante il governo Conte I sono stati modificati a ottobre dello scorso anno, con un decreto poi convertito in legge il 18 dicembre 2020. Le associazioni che si occupano di rifugiati, però, denunciano che la riforma per ora è avvenuta solo sulla carta.

SPRAR, SIPROIMI, SAI

Una delle misure più controverse volute nel 2018 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini era stata la cancellazione dei permessi di soggiorno umanitari che, assieme allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, era una delle forme di protezione a cui potevano avere accesso i richiedenti asilo. «Fra le misure previste – spiegava il Post – c’è anche un ridimensionamento degli SPRAR, il circuito più virtuoso dei centri di accoglienza, che saranno riservati solo alle persone che avranno già ottenuto una forma di protezione (oggi sono aperti anche ai richiedenti asilo). […] il decreto causerà probabilmente altri problemi fra il 2019 e il 2020: il Corriere della Sera stima per esempio che fra le 844 persone ospiti dei centri SPRAR di Bologna, 394 sono richiedenti asilo – che quindi verranno lasciati fuori, se la loro richiesta non avrà ricevuto risposta – e circa 120 hanno un permesso di soggiorno umanitario».

Il sistema di accoglienza così delineato prendeva il nome di SIPROIMI, ma la sua rilevanza è stata molto limitata rispetto all’apprezzato circuito degli SPRAR, che evitavano la concentrazione di molte persone in pochi grandi centri. Assieme a un taglio dei fondi (da 35 a 19/21 euro al giorno), questa riforma ha finito per determinare l’uscita dal sistema dell’accoglienza delle piccole associazioni che facevano un prezioso lavoro capillare sul territorio, favorendo invece l’ingresso di soggetti di grandi dimensioni che potevano permettersi di partecipare alle gare grazie a economie di scala. Come ha spiegato Annalisa Camilli su Internazionale: «Il nuovo capitolato ha previsto tagli importanti alla spesa per i centri straordinari e questo ha favorito gli enti gestori che hanno una maggiore capacità economica, le aziende e più in generale gli enti profit. Molti gestori hanno deciso di non partecipare ai bandi di gara per protesta, mandandoli deserti, ma in molti casi i più grandi e quelli profit hanno invece partecipato, accettando condizioni peggiorative, a scapito dei servizi offerti».

Con la legge approvata a dicembre 2020, il sistema ha cambiato ulteriormente nome da SIPROIMI a SAI, che sta per Sistema di accoglienza e integrazione. Come spiegava ancora Camilli in un altro articolo: «Di fatto viene ripristinato il sistema di accoglienza diffuso gestito dai comuni come sistema prioritario a cui accedono anche i richiedenti asilo e non solo i casi più vulnerabili, i minori e i beneficiari di protezione internazionale. Inoltre vengono distinti i servizi di primo livello per i richiedenti protezione internazionale, che includono l’accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, i corsi di lingua italiana, e i servizi di orientamento legale e al territorio, dai servizi di secondo livello che hanno come obiettivo l’integrazione e includono l’orientamento al lavoro e la formazione professionale».

Nei fatti è cambiato poco

Dall’approvazione dell’ultima riforma però, secondo diverse associazioni riunite nella rete Europasilo, è cambiato poco. Redattore Sociale riporta in un articolo le parole di Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano solidarietà (Ics) di Trieste: «Quanto fatto finora dall’amministrazione centrale è in completa distonia con quanto annunciato, e così si continua nella logica di favorire i grandi centri. I capitolati di spesa sono stati alzati di poco ed è stato impedito nei fatti di far assomigliare i centri di accoglienza straordinaria agli ex SPRAR». Sempre secondo Schiavone, «Bisognava dare indicazioni precise alle prefetture perché nell’assegnazione dei bandi vengano favorite le proposte di centri di piccole dimensioni, che dispongano di tutti i servizi e che favoriscano un’accoglienza diffusa. Invece continuiamo a finanziare i casermoni in cui vengono offerti servizi scadenti».

Oltre alla denuncia, Europasilo ha elaborato una serie di proposte di riforma del sistema di asilo. Alcune sono già contenute nella riforma attualmente in vigore, ma attendono di essere applicate. Altre richiedono ulteriori interventi legislativi. «Innanzitutto, secondo la Rete occorre prevedere un Ente nazionale per il diritto d’asilo, a garanzia e tutela di un sistema non più emergenziale ma finalmente organico e strutturato. E poi rendere realmente operativo il ripristino dei servizi di assistenza, tra cui la mediazione linguistico culturale, i corsi di lingua italiana, il supporto psicologico. Nello specifico il SAI dovrebbe superare i limiti che hanno caratterizzato i precedenti sistemi Sprar e Siproimi “configurandosi realmente come sistema di accoglienza, diffuso capillarmente sul territorio, volto a strutturare interventi di inclusione sociale sia per richiedenti che titolari di protezione”. Per questo Europasilo chiede che al più presto venga emanato il decreto, previsto dalla legge 173/2020 e finalizzato all’adozione di nuovi criteri e standard per le strutture di accoglienza».

Inoltre, secondo Europasilo, «bisognerebbe inquadrare il Sai come parte integrante del sistema di welfare e quindi far prevalere il principio di sussidiarietà col terzo settore. La normativa di riferimento, dunque, per l’affidamento dei servizi dovrebbe essere individuata nel Codice del terzo settore, mentre oggi si rinvia al codice degli appalti. “Se parliamo di servizi socio-assistenziali è irragionevole che questo servizio venga erogato direttamente dallo Stato a cui spetta, invece, prevedere linee guida, coordinare e monitorare – aggiunge Schiavone –. Questo modello ad oggi non ha funzionato, bisogna avere coraggio di trasferire le funzioni amministrative agli enti locali. Senza queste modifiche non arriveremo mai a un vero smantellamento del sistema emergenziale di accoglienza”».

(Foto di Miko Guziuk su Unsplash )

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