Una società sempre più anziana, non può che puntare sugli stranieri se vuole sperare di continuare a rinnovarsi. E nel nostro Paese stanno crescendo e maturando le cosiddette “seconde generazioni”, i figli di chi negli anni scorsi è giunto in Italia e vi si è stabilito. Quegli stranieri che il presidente Giorgio Napolitano non ha esitato a definire «fonte di speranza» e «parte integrante dell’Italia di oggi e di domani». Un’idea che la Regione Toscana ha fatto sua nel proporre la nuova campagna per le donazioni di sangue, caratterizzata dal payoff «Chi dona sangue ha cuore», e accompagnata dalla foto di persone dai diversi lineamenti, tra cui un ragazzo dal look “afro”.

Il messaggio, semplice quanto importante , è che in fondo siamo fatti tutti allo stesso modo, a prescindere dalle appartenenze etniche, geografiche o sociologiche. Insomma, ancora una volta, la sostanza sta oltre il pregiudizio. Sull’apertura alle diverse etnie, l’assessore alla Salute Daniela Scaramuccia precisa che «ci sono molte persone che erano donatori nel proprio paese che però, una volta arrivati in Italia, incontrano difficoltà nel proseguire questa strada. Con questa campagna desideriamo rivolgerci anche a loro. Siamo consapevoli che la donazione del sangue può essere uno strumento di integrazione».

Non possiamo che sottoscrivere. All’incontro di presentazione ha partecipato anche il sociologo Andrea Volterrani, che ha spostato il tiro verso l’esigenza, per il bene della nostra società, di un maggiore impegno in questo tipo di propaganda: «Investire sulla comunicazione sociale è investire sul futuro. Quindi tagliare la comunicazione in tempi di crisi è un grave errore. Si fa un danno al sociale e si ostacola il suo futuro. Anche le associazioni di volontariato devono capire che la comunicazione sociale non è una spesa ma un investimento».

Interessante che si rivolga sia a chi taglia, sia alle associazioni. Spesso abbiamo insistito, qui come sui nostri altri organi (di comunicazione, per l’appunto), sull’insufficienza di impegno e investimenti da parte di Avis in campagne nazionali di grande portata. E se forse oggi, in tempo di crisi, non è il momento migliore per agire con forza in questo senso, resta il dispiacere per le occasioni mancate degli anni scorsi.

In chiusura, rimandiamo a una storia che potete leggere sul sito internet VolontariatOggi, ossia quella di Sara Benedetti, che ha da poco cominciato il servizio civile all’Avis indossando il velo, nel rispetto della sua religione, l’islam. Dalle parole di Sara traspare un’elasticità mentale da cui ci sarebbe da imparare: «Sono nata da madre marocchina e padre italiano. Mio padre si è convertito all’islam quando ha sposato mia madre, che è in Italia ormai da 20 anni. Io sono italiana e mi sento tale […] Speriamo in una primavera araba anche da noi, c’è voglia di riforma e di cambiamento; io credo in un futuro che veda al centro dei nostri valori la Costituzione italiana, una delle più belle del mondo, e il cosmopolitismo».