L’incidente nucleare avvenuto in una base missilistica russa l’8 agosto ha ricordato a molti le omissioni fatte dall’Unione Sovietica ai tempi dell’incidente di Chernobyl, quando non furono comunicati ai cittadini e alla comunità internazionale i rischi per la sicurezza realmente in gioco. Interessante in questo senso la lettura del libro di Giancarlo Sturioni La comunicazione del rischio per la salute e per l’ambiente. Riportiamo un estratto dall’approfondimento pubblicato su Scienza in rete.

[…] La comunicazione del rischio per la salute e per l’ambiente (Mondadori Università, 2018) di Giancarlo Sturloni è un utile manuale su questo tema: della comunicazione del rischio illustra infatti i fondamenti teorici e i principi operativi, ripercorrendo gli esempi più paradigmatici, dallo scoppio del reattore di Chernobyl fino all’attuale dibattito sui vaccini. Pur essendo un manuale soprattutto per chi vorrà avere a che fare professionalmente con la comunicazione e la gestione del rischio, sarebbe bene che lo si leggesse anche come un’opera di divulgazione, visto che il rischio riguarda tutti e si avvantaggerebbe dalla massima consapevolezza sul tema da parte del pubblico.

Abbiamo approfondito alcuni di questi aspetti con l’autore.

La partecipazione per mitigare il conflitto

“L’aspetto forse più interessante nella comunicazione del rischio è proprio l’aver capito che, senza una partecipazione attiva e consapevole di tutti gli attori coinvolti, non è possibile fare prevenzione o gestire un’emergenza in modo efficace, mentre è più facile che nascano controversie sulla gestione del rischio stesso. La compartecipazione è quindi diventata una parte fondamentale della comunicazione del rischio, anche se nella pratica quotidiana ha un’evoluzione necessariamente graduale”, spiega Sturloni. “Rappresenta un aspetto legato al cambiamento del rapporto tra scienza e società: le indicazioni date dall’alto su come comportarsi nella prevenzione o nell’emergenza non possono funzionare se, oltre a essere spiegate e comprese, non sono anche condivise”.

Le esperienze di partecipazione non mirano a evitare il conflitto, bensì a negoziare una soluzione socialmente sostenibile, rafforzando contemporaneamente la fiducia e la cooperazione. Le prime esperienze risalgono al periodo compreso tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta; anche in Italia è stato recentemente approvato il Regolamento sul dibattito pubblico ispirato all’esperienza francese, che prevede il débat public per i progetti sulle grandi opere infrastrutturali.

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(Foto di Bruce Warrington su Unsplash)