di Federico Caruso

Da quando la pandemia di coronavirus è entrata prepotentemente nei pensieri e nelle vite di miliardi di persone, si è resa evidente l’importanza di una comunicazione scientifica di qualità, sia da parte dei media sia da parte delle istituzioni. La pubblicazione di informazioni non accuratamente verificate, nel contesto che stiamo vivendo, mette letteralmente a rischio milioni di persone. In Italia, gli scaffali vuoti nei supermercati e la difficoltà nel trovare disinfettanti e mascherine, soprattutto all’inizio della pandemia (e ancora prima che si cominciasse a chiamarla così), sono una dimostrazione di come una reazione emotiva possa creare disagi improvvisi. Le cose possono andare anche peggio, come successo in Iran, dove 300 persone sono morte per avere bevuto un un liquore a base di metanolo, credendolo efficace contro il COVID-19.

Infodemia

Proprio per evitare ulteriori casi simili, l’Oms ha una pagina costantemente aggiornata su cui pubblica smentite e chiarimenti su miti e leggende legati al coronavirus. Quando ancora non si parlava di pandemia, l’Oms metteva già in guardia sul pericolo di una “infodemia”, che definiva così: «Un eccesso di informazione su un problema, che rende difficile identificare una soluzione. L’infodemia comporta la diffusione informazioni errate, false o non verificate durante un’emergenza sanitaria. Può intralciare una risposta efficace a livello sanitario e creare confusione e diffidenza nella popolazione». Per questo l’Oms ha istituito un apposito network con il compito di identificare fonti verificate per la diffusione di informazioni sulla pandemia. L’impegno del network è spronare tali fonti a diffondere informazioni accurate e tempestive, ma anche a identificare il tipo di informazioni che le persone chiedono con insistenza, in modo da rispondere alla domanda con tempismo.

Comunicare l’incertezza

Il progetto europeo QUEST, che si occupa di misurare, definire e supportare la qualità della comunicazione scientifica in ambito europeo, ha recentemente presentato i primi risultati della sua ricerca. In un articolo pubblicato sul sito del progetto, la medica e giornalista scientifica Roberta Villa ha pubblicato alcune riflessioni sull’importanza di una comunicazione scientifica di qualità, soprattutto in una situazione di emergenza. Tra le sfide portate da una situazione drammatica e in rapida evoluzione come quella che stiamo vivendo, c’è il problema di comunicare l’incertezza senza mettere a rischio la fiducia delle persone. Un pessimo esempio da questo punto di vista è stato dato dal ministro italiano per gli Affari regionali e le autonomie Francesco Boccia, che in un’intervista al Corriere ha chiesto alla comunità scientifica «di darci certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni  tema. Chi ha già avuto il virus, lo può riprendere? Non c’è risposta. Lo stesso vale per i test sierologici. Pretendiamo chiarezza, altrimenti  non c’è scienza. Noi politici ci prendiamo la responsabilità di  decidere, ma gli scienziati devono metterci in condizione di farlo». Purtroppo, per arrivare a “certezze inconfutabili”, la scienza può metterci parecchio tempo. La conoscenza non è un concetto che si svela all’improvviso per diventare Verità assoluta. È un processo che lavora per approssimazione, e in una situazione come quella attuale bisogna anche sapere accettare (e comunicare) che le informazioni certe arrivano fino a un certo punto, non oltre. Le scelte politiche, però, spesso non possono aspettare. Come nota Villa, negli ultimi mesi molti gruppi di ricerca hanno pubblicato i propri articoli su piattaforme aperte in versione preprint, ossia in una versione non ancora pronta per la pubblicazione, prima della revisione tra pari (peer-review) richiesta per comprovare la solidità di uno studio. Si tratta di articoli che in molti casi non arrivano alla pubblicazione, e sono stati ritirati poche ore o giorni dopo essere stati caricati su tali piattaforme. Da un lato, la loro ampia disponibilità fa sì che molti colleghi possano leggere e controllare il materiale proposto, aumentando la qualità di ciò che arriva alla pubblicazione. Dall’altro, essendo queste piattaforme liberamente accessibili a chiunque, aumenta il rischio che ciò che viene reso disponibile sia usato come fonte per articoli di giornale o finisca in oscure catene di messaggi su WhatsApp e simili. Se in tempi “di pace”, fa notare Villa, è difficile per chi fa comunicazione scientifica ottenere l’attenzione delle persone e avere un impatto sulle loro vite, durante una crisi la comunicazione dev’essere molto accurata, perché ogni piccola informazione può portare molte persone a fare o non fare una certa cosa, talvolta con conseguenze gravi. Ecco perché c’è bisogno di un piano di comunicazione strategica. L’impreparazione, conclude Villa, non è ammessa.

(Foto di Brian McGowan su Unsplash)