Alla fine sta saltando anche il riordino delle province. Ne abbiamo parlato su questo blog tempo fa, e siamo stati criticati anche duramente per averlo difeso, se non nella forma, almeno nel principio. Come tutti i decreti-legge, anche il n. 188 del 5 novembre 2012 necessita di essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua emanazione da parte del governo. Manca ancora poco meno di un mese, ma il mutato clima politico pare impedirà di discutere e votare i numerosi emendamenti presentati al testo. Si ripropone così quell’inesorabile ritorno dell’uguale che paventavamo in un post di fine agosto.
Quello del riordino (un tempo si diceva cancellazione, l’austerity ha colpito anche le ambizioni) delle province è diventato un tema onnipresente nel dibattito politico italiano. Tutti lo promettono in campagna elettorale, ne discutono una volta al governo, ma poi lo affossano quando è il momento di votarlo. Insomma, chiunque ne parla, chi bene, chi male, ma nessuno l’ha mai visto. Un’altra occasione di cambiare qualcosa in questo Paese si è infranta contro la dinamica diffusa che ci condanna periodicamente a un reset delle speranze di un futuro migliore. Non era, lo ribadiamo, la riforma perfetta, aveva bisogno di correttivi e probabilmente alcuni dei moltissimi emendamenti presentati avevano la reale intenzione di migliorarla. Ma adesso da una riforma imperfetta ci ritroviamo con un pugno di mosche. E soprattutto con la sensazione sconfortante che nessun cambiamento sia veramente possibile in Italia, come pure una razionalizzazione della pubblica amministrazione -a partire dai suoi enti da sempre più discussi- per risparmiare soldi pubblici, perché ormai le poltrone sono assegnate e indietro non si torna.
Questa riforma sta facendo la triste e grottesca fine del taglio dei parlamentari. Anch’esso un fantasma che si aggira per i palazzi della politica terrorizzando i nostri timorosi rappresentanti. E non osiamo immaginare cosa succederebbe se qualcuno osasse solo pensare di razionalizzare anche le Regioni, altre macchine mangia-soldi dalle quali si potrebbero trarre tante risorse da destinare ad altri capitoli di spesa. Ne parlavano il 9 settembre 2011 Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella in un articolo pubblicato dal Corriere, di cui ricordiamo solo l’attacco: «“E tu osi credere ai tuoi occhi invece che a me?”. Il fastidio con cui nella maggioranza vivono lo scetticismo dei cittadini nei confronti dei tagli alla politica ricorda la battuta di una leggendaria diva del cinema al marito che l’aveva sorpresa a letto con un amante: ma come, non ti fidi?». A ben oltre un anno da quell’articolo nessun esponente della classe politica ci ha permesso di superare lo scetticismo che da sempre ci accompagna quando sentiamo parlare per troppo tempo di buoni propositi. Ci ha provato, ignorando critiche e insulti, il governo attualmente in carica. Il Parlamento che lo ha supportato -fino a pochi giorni fa- ha sempre fatto buon viso, adesso sta venendo a galla il cattivo gioco.