Da quando è iniziata la pandemia, per molte persone il lavoro si è spostato dall’ufficio all’ambiente domestico. Se da un lato questo ha permesso di non fermare quelle attività lavorative per cui sono sufficienti un computer, un telefono e una buona connessione a internet, dall’altro l’improvviso cambio di impostazione potrebbe aver creato una sorta di “disordine lavorativo” che forse si può ricondurre alla condizione di burnout.
Come spiega Nature, quest’ultimo è definito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come una vera e propria sindrome: «I sintomi sono fisici ed emotivi e includono sensazioni di spossatezza ed esaurimento delle energie, aumento della distanza mentale dalla propria occupazione, sentimenti di negatività o cinismo legati a essa e in generale una ridotta capacità di portare a termine il proprio lavoro. Nella sua essenza il burnout è provocato da un lavoro che richieda uno sforzo continuo e a lungo termine, sia fisico che cognitivo o emotivo».
Il burnout dei ricercatori
Come riporta Nature, nel mondo della ricerca gli indicatori riconducibili a tale sindrome sono già aumentati bruscamente nell’ultimo anno, secondo indagini condotte negli Stati Uniti e in Europa. In un sondaggio su 1.122 membri di facoltà statunitensi incentrato sugli effetti della pandemia, quasi il 70 per cento degli intervistati ha detto di essersi sentito stressato nel 2020, più del doppio del 2019 (32 per cento). Il sondaggio ha anche rilevato che più di due terzi degli intervistati si sono sentiti affaticati, mentre nel 2019 erano meno di un terzo. Nel 2020 il 35 per cento ha provato sentimenti di rabbia, mentre solo il 12 per cento lo ha dichiarato nel 2019.
Telelavoro e produttività
Questi risultati riflettono quanto riportato in un articolo pubblicato di recente da economisti dell’università di Chicago, che hanno studiato un gruppo di oltre 10 mila professionisti del settore tecnologico per valutare l’impatto del lavoro a distanza indotto dalla pandemia. Lo studio era in realtà incentrato sull’aspetto della produttività comparata al numero di ore lavorate, e ha condotto a una conclusione diversa da quella che ci si poteva aspettare: «Il totale delle ore lavorate è aumentato di circa il 30 per cento, con un aumento del 18 per cento del lavoro oltre gli orari canonici. La produzione media non è invece cambiata in modo significativo. Pertanto, la produttività è scesa circa del 20 per cento».
Come osserva Cal Newport, docente e ricercatore nel campo dell’informatica, «È diventato comune sentire leader aziendali affermare che la lezione della pandemia è che il telelavoro può essere altrettanto produttivo del lavoro in ufficio. Ma dobbiamo stare attenti alle parole. Quando si dice “altrettanto produttivo”, quello che spesso si intende veramente è che i lavoratori sono in grado di svolgere il proprio lavoro a casa. Ciò che manca a questa osservazione è che fare lo stesso lavoro a casa richiede più tempo, il che implica una diminuzione della produttività. E poiché questi sforzi ora richiedono più lavoro al mattino o la sera, è probabile che creino più insoddisfazione e burnout nei lavoratori».
Le morti legate all’eccesso di lavoro
Che un eccessivo numero di ore lavorate sia una seria minaccia alla salute è confermato da uno studio recentemente pubblicato dall’Oms. Lo studio prova come un orario di lavoro prolungato sia stato alla base di 745 mila morti per ictus e malattie cardiovascolari nel 2016, con un aumento del 29 per cento rispetto al 2000. La ricerca conclude che lavorare 55 o più ore a settimana è associato a un aumento del 35 per cento del rischio di ictus e del 17 per cento del rischio di cardiopatia ischemica, rispetto a un lavoro di 35-40 ore a settimana.
Tali risultati arrivano in un periodo in cui il problema dell’eccesso di lavoro è sempre più diffuso, anche a causa dei tagli al personale che hanno ridotto gli organici, ma non i carichi di lavoro. «La pandemia di COVID-19 ha cambiato significativamente il modo in cui molte persone lavorano», ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. «Il telelavoro è diventato la norma in molte aziende, spesso portando a confondere i confini tra lavoro e vita privata. Inoltre, molte aziende sono state costrette a ridimensionare o chiudere dei comparti per risparmiare, e le persone rimaste finiscono per lavorare più ore. Nessun lavoro vale il rischio di ictus o malattie cardiache. Governi, datori di lavoro e lavoratori devono collaborare per concordare dei limiti a tutela della salute di questi ultimi».
(Foto di Nataliya Vaitkevich su Pexels)
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