Di Francesca Sofia Selano

Stazione di Legnano. Entriamo in auto e Pierre ci guida tra i luoghi in cui si svolgono le attività di accattonaggio o di vendita abusiva. L’obiettivo di questa uscita è offrire sostegno, presentando il progetto di Lule, un’associazione che dal 1996 aiuta le vittime di tratta e favorisce l’integrazione di persone in situazioni di fragilità dovute a migrazione, disabilità o sfruttamento lavorativo. Pierre, mediatore linguistico e operatore, spiega che sono vittime non facili da “agganciare”: in assenza di uno sportello dedicato, è necessario costruire relazioni di fiducia direttamente per strada. Parla guardandoci attraverso lo specchietto, con sguardo dolce, che ispira fiducia. Ha a cuore le storie delle persone incontrate finora e con molti ha appuntamento fisso. Anche per questo sa perfettamente dove andare, ma molte postazioni oggi sono vuote, a causa dei lavori stagionali nei campi del foggiano e dell’insolita presenza dei vigili urbani. Approfittiamo del tempo in auto per parlare del sistema che muove l’economia illegale. «Arrivano tramite un contatto che li aiuta per il viaggio e offre loro un appartamento in subaffitto. Fin da quell’istante sono sfruttati: magari l’affitto è di 500 euro per l’intera casa, ma ci vivono in otto e ognuno paga 250 euro. È lo sfruttatore a dettare il prezzo e, per far sì che siano in grado di sostenerlo, li inserisce nel sistema».

Tutti coloro che giungono in Europa grazie ai contatti di quella che Pierre chiama “rete” hanno un debito da saldare. Si comincia con l’accattonaggio, poi si passa al commercio di accendini e oggetti contraffatti. A debito saldato, l’organizzazione li convince a non fare richiesta per il permesso di soggiorno, obbligandoli al lavoro nero e promettendo documenti falsi. «Capita spesso. Nei primi incontri vogliono i documenti per mettersi in regola, poi dicono di averci ripensato. È l’organizzazione a frenarli». Arriviamo al parcheggio del cimitero dove, sotto al sole, incontriamo Joachim, un ragazzo senegalese con cui l’associazione ha avviato un progetto di emersione lavorativa. L’obiettivo, nel suo caso e in altri simili, è rendere la persona consapevole della propria condizione irregolare, rilevandone gli aspetti che permettono di definirla sfruttamento, così da agevolare il distacco dal sistema e, idealmente, la denuncia. Joachim è molto affabile, tutti i passanti lo conoscono.

Chiede aiuto per la dichiarazione dei redditi e Pierre gli propone di incontrarsi qui a Legnano, nell’ufficio in cui ogni venerdì gli operatori sono disponibili per risolvere questioni burocratiche. Joachim annuisce soddisfatto, ma il suo sorriso si spegne e ci saluta di fretta, mentre si avvicina Bass. È un uomo anziano dai modi burberi, molto alto, anche lui senegalese. I medici gli hanno consigliato di non uscire, per evitare il caldo. Ma ha bisogno di raccogliere soldi da inviare alla figlia. Attende risposte per la richiesta di invalidità e intanto non riesce a lavorare. Pierre ci spiega che Bass «non si stabilizza mai. Poi ha tanti problemi di salute e questo gli impedisce di fare passi avanti». Il tono di Pierre è secco, onesto, consapevole. Dopo anni di lavoro nel settore ne ha sentite tante di storie così. È molto gentile, tutti sembrano fidarsi di lui e ridono appena prova a scusarsi per aver rubato loro del tempo.

Torniamo in auto. Pierre parla dell’importanza del passaparola: gran parte delle persone che si rivolgono all’associazione Lule lo fanno tramite un loro collega. Si aiutano, ma senza farlo sapere ai vertici della rete. Ci rechiamo nel piazzale in cui si tiene il mercato. Il viavai di persone cariche di buste, le urla dei mercanti, la corsa alle migliori offerte, ma di coloro che di solito fanno vendita illegale non c’è traccia. «I ragazzi dicono che internet rovina i mercati. Ormai tutti preferiscono acquistare online roba ugualmente contraffatta». Allontanandoci incontriamo Oscar, nigeriano, un volto nuovo a Legnano. Abita a Gallarate e dice di non aver bisogno dell’associazione perché è a posto con i documenti. Comunque prende il contatto, per i suoi connazionali. Per Pierre, il passaparola è uno strumento potente anche all’interno della rete criminale. «Perché uno dovrebbe venire qui da Gallarate? Palesemente alle spalle c’è una rete che indica i posti per l’accattonaggio». Collins, un ragazzo nato in Costa D’Avorio ma di origini nigeriane, viene verso di noi, entusiasta di incontrarci. Sul suo permesso di soggiorno, alla voce “nazionalità”, solo delle crocette: i genitori non ne hanno mai registrato la nascita.

Collins ha fatto un bel percorso con Lule, passando dall’orientamento lavorativo a un tirocinio concluso con un lavoro regolare. Eppure, ora è qui, a fare accattonaggio nel parcheggio di una fabbrica in cui lavora come addetto delle pulizie. «Il padrone della fabbrica è molto ricco. È mio amico. Lui aiuta molte persone che vengono dall’Africa». «Ma te l’ha fatto un contratto visto che è tuo amico?». «Eh no, contratti a noi non li fa». «Chiediglielo, digli che hai tutto in regola. E invece la scuola come procede?». Collins è iscritto ai corsi per il diploma di terza media, però vuole lasciare perchè i professori si limitano ad assegnare compiti senza spiegare. Pierre racconta di come a un certo punto Collins, in Italia dal 2011, abbia messo in discussione il suo intero percorso migratorio. «Si è accorto di non aver fatto molti progressi, quando invece si dovrebbero fare passi avanti con i documenti e con l’integrazione».

Pierre ci riaccompagna in stazione, condividendo le sue riflessioni: «emergono più le persone che arrivano da noi che non quelle che contattiamo, queste ultime si adagiano un po’, perché sanno che verremo ad aiutarli». Parla inoltre delle difficoltà: oltre alla complessità di far emergere casi di sfruttamento tra chi fa accattonaggio, va considerata la prontezza della rete nel sostituire coloro che ne escono. Pierre accenna un sorriso, per celare un po’ di sconforto. Ammette che l’associazione rischia di diventare utile alla rete. «La rete usa anche noi, mostrando coloro che ce la fanno grazie al nostro aiuto come esempi positivi del loro lavoro. Per noi è una vittoria quando qualcuno ha il coraggio di dire che l’organizzazione è la vera sfruttatrice».

Articolo comparso sulla rivista Emersioni, ripubblicato su ZeroNegativo sotto licenza CC BY-SA 3.0 IT. Il reportage fa parte di un’inchiesta più ampia che si può leggere gratuitamente sul magazine.

(Foto di Angelo Amboldi su flickr)

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