In questi giorni si sta parlando molto della sospensione del giornalista di Libero Filippo Facci da parte dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, per un articolo pubblicato nel 2016 in cui dichiarava apertamente il suo odio per «l’Islam, tutti gli Islam, dunque gli islamici e la loro religione che giudico addirittura peggiore di tutte le altre». Per due mesi Facci non potrà esercitare la professione né percepire stipendio per vari motivi, tra cui il fatto che «Le affermazioni contenute nell’articolo hanno un evidente carattere razzista e xenofobo», si legge nelle motivazioni. L’articolo è stato ritenuto inoltre un «attacco diretto, indiscriminato e generalizzato verso un gruppo di persona (sic) che costituisce un quarto del genere umano». Il giornalista, nel suo articolo, elenca tutti gli elementi che gli rendono indigesta la religione musulmana e una serie di aspetti culturali che questa si porta dietro (almeno in certe popolazioni, in certi territori, ma trattandosi di uno sfogo volutamente eccessivo non c’è spazio per i distinguo). Il punto su cui molti si sono interrogati (tra cui lo stesso Facci) è se sia stato giusto che l’Ordine gli abbia inflitto una punizione.

Che l’articolo di Facci sia une vera e propria «porcata», come l’ha definito Enrico Mentana sulla sua pagina Facebook, è fuori discussione. Si tratta di un’invettiva di un giornalista che in generale ce l’ha con le religioni, e non ha mai perso occasione di scagliarsi contro varie confessioni, quando ha potuto. Inoltre la crudezza del linguaggio è un suo tratto distintivo e il giornale per cui scrive, Libero, ha toni, linguaggi e riferimenti culturali ben precisi. Più che di giornalismo, in questo caso, sembra trattarsi di chiacchiere da bar (con tutto il rispetto per queste ultime), nel senso che in un bar chiunque può entrare, ordinare un caffè e cominciare a esporre le proprie teorie, preferenze, passioni, rancori. Un giornalista dovrebbe fare qualcosina in più, e inoltre attenersi a una serie di regole deontologiche e leggi volte a limitare la diffusione di sentimenti di odio e discriminazione.

Il punto è proprio questo dunque: se si pensa che Facci abbia commesso un reato, ossia l’incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi religiosi o etnici, allora l’episodio rientra nella fattispecie normativa regolata dalla legge Mancino, la numero 205 del 1993. Sarebbe stato più corretto dunque che a perseguire Facci fosse stato un tribunale. Il fatto che si sia mosso invece l’ordine professionale di appartenenza è invece più controverso e rischia addirittura (ma forse è già avvenuto) di spostare l’attenzione su Facci in quanto vittima. Costui, probabilmente, si è reso protagonista non di incitamento all’odio, bensì di pessimo giornalismo. Si può con una certa sicurezza dubitare del fatto che le sue parole abbiano spostato di una virgola le convinzioni dei suoi lettori. Chi ce l’aveva con l’Islam e i musulmani avrà trovato conferma della sua opinione, chi aveva un atteggiamento più aperto e tollerante avrà trovato ripugnanti le parole di Facci. Al limite articoli del genere possono avere come effetto una radicalizzazione della polarizzazione delle opinioni, non un cambiamento.

Diverso sarebbe stato se Facci avesse portato come argomentazioni alla base delle proprie opinioni fatti palesemente inventati, incitando a una reazione violenta. Invece ha solo espresso la sua opinione, stando (scientemente) alla larga dai fatti, proprio per evitare ritorsioni. Il fatto che queste ci siano state sembra dunque voler punire direttamente le opinioni del giornalista, più che la sua condotta professionale.

Ci sono purtroppo episodi più gravi su cui invece gli Ordini regionali non agiscono con altrettanto zelo, ossia le tante fake news che circolano sui giornali italiani e i relativi siti web. Alcune restano online per anni, dando concretezza a fatti mai successi. Ne abbiamo parlato recentemente per il caso Blue Whale. Ancora più recente è il caso di una testata online, Casertasera.it, che recentemente ha pubblicato un articolo (qui la copia cache di Google) che riportava notizia di un bambino di sette anni entrato in coma irreversibile dopo la somministrazione di un vaccino.

Con lo scopo di contestare la legge che rende obbligatorie alcune vaccinazioni, qualcuno si è inventato di sana pianta una storia mai avvenuta. Così facendo ha contribuito a diffondere paura e diffidenza nei confronti di uno strumento, i vaccini, che da quando esiste ha salvato milioni di vite. Prima che l’articolo sparisse dal sito internet della testata, è stata aggiunta una precisazione in calce: «In merito a questo articolo va chiarito che il contenuto è stato ripreso da un blog romeno che attualmente non riusciamo più a reperire, potrebbe essere stato cancellato? Comunque, al di la di ogni dubbio noi consigliamo comunque che per qualsiasi informazione. relativa alla vicenda del vaccino, di contattare sempre le autorità sanitarie locale locali dalle quali attingere l’informazione. Noi non abbiamo nessuna autorità e competenza in merito per stabilire il beneficio o la pericolosità del farmaco. Tanto era dovuto per chiarezza avvertendo che a breve l’articolo sarà rimosso, visto l’interesse suscitato al fine di evitare inutili allarmismi».

“Al fine di evitare inutili allarmismi” bisognerebbe verificare le notizie, consultare fonti affidabili, cercare conferme e verificare ciò che si scrive. Far valere la propria “autorità e competenza” nello svolgimento del ruolo di giornalisti. Scaricare le colpe su “un blog romeno” è troppo facile. Quali saranno le conseguenze disciplinari per gli estensori di tale “bufala”?

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