
Continuiamo a seguire gli approfondimenti di Carlo Mazzini sulla riforma del terzo settore. Lunedì scorso proponevamo le sue considerazioni in merito ai tempi di approvazione della nuova legge. Oggi ci appropriamo nuovamente dei contenuti pubblicati sul suo blog per scoprire, da chi ha competenza sull’argomento, quali sono le proposte del giornalista per dare subito un nuovo assetto al terzo settore.
Non so se gli sparuti lettori di questo blog abbiano subodorato una mia qualche venatura polemica nel trattare la materia della Riforma del Terzo Settore. Diciamo che la percezione di questi amici è corretta. Attenzione: la mia contrarietà non è alla riforma in sé. La mia contrarietà è nel senso di impotenza. L’unico prodotto di una Riforma non ancora partita è un vociare vuoto e ripetitivo dei politici, i quali si riempiono la bocca di qualcosa che non hanno mai masticato. E noi stiamo qui a guardare, senza poter far nulla. Cavolo! Non possiamo neppure sfiduciarli o eleggerne qualcun altro. Questi hanno persino trovato il modo di non farsi neppure eleggere!
Bisogna uscire da questo senso di impotenza e inquadrare meglio la situazione. Non parlo qui di come incidere nella legislazione del non profit rifondando le basi giuridiche e fiscali del sistema. Per quello c’è la Riforma che tutti aspettiamo con ansia e anche con un leggero senso di angoscia. Voglio invece dare il mio contributo e dire cosa i politici, quelli che votano in Parlamento, quelli che una volta chiamavamo “i nostri rappresentanti” (adesso non lo possiamo più fare) possono fare ora per migliorare fin da subito la condizione del non profit italiano. Ecco le azioni:
1. Non fare nulla: lo so che la prendete come una boutade, l’ennesima presa per i fondelli. Ma sbagliate, cari lettori. È un invito serio a non toccare le leggi se il legislatore ne ignora il contenuto e le conseguenze delle modifiche. Il caso della Croce Rossa e delle sezioni locali che diventano persone giuridiche, Aps e Onlus tutt’assieme è un caro caso di priapismo legislativo. Si sono detti: chi la conta più grossa? E così hanno ingabbiato queste organizzazioni in una matrice di obblighi, peculiarità, divieti (è il complesso portato delle diverse legislazioni di settore), tutti elementi sconosciuti ai legislatori. Dato che non ne sapevano una mazza, hanno legiferato di conseguenza. L’invito è: state fermi: non fate l’onda: non fatevi come al solito riconoscere.
2. Fare il meno possibile: quando proprio non è possibile fare il pesce in barile, muovetevi con circospezione, cari legislatori. Da questo invito seguono alcuni corollari.
2.1 Non fidarsi dei consulenti del non profit né dei tecnici del ministero: dato che questo invito potrebbe sembrare un lievissimo autogol, cerco di spiegarmi meglio. I consulenti del non profit sanno un bel po’ di cose, è il loro lavoro, non c’è da stupirsene. Nonostante questo, essi seguono “alcune” organizzazioni, hanno approfondito “alcune” materie; non esistono gli onniscienti (so che qualche collega potrebbe dissentire, pensando umilmente a sé stesso). Quindi, se ne fate uso (di consulenti specializzati nel non profit) suggeriamo la modica quantità. Non solo. Cercate di capire da dove vengono. È difficile che un consulente di una corazzata cattolica vi possa dare suggerimenti neutrali e tecnicamente ineccepibili sull’Imu. Bisogna ascoltarlo, ma bisogna anche fargli le domande giuste per capire se sta portando avanti un’idea tecnica o un interesse della sua parte. In merito ai tecnici del Ministero, ce ne sono di bravissimi. Anche qui, chiedete loro quali sono le conseguenze delle modifiche che vi suggeriscono. Chiedetegli di fare degli esempi. Andate in fondo alla materia, fate delle simulazioni. E ricordatevi che mentre loro vi parlano pensano: «Intanto io rimango qui mentre tu sarai fatto fuori dal prossimo governo, quindi cerco di fare qualcosa che non mi comporti problemi nei prossimi anni».
2.2 Preferire la retta all’arabesco: capisco che si tratti di una rivoluzione copernicana. Ma se provate a perseguire questo principio, vedrete che porterà i suoi frutti. Il ragionamento lineare, che non deve passare per n deviazioni e curve a gomito ma arriva subito al sodo, al risultato diretto, è preferibile allo slalom che fate ogni giorno per accontentare tutti i questuanti. Faccio un esempio, e spero che mi scusiate la banalità. C’è un settore che produce molto lavoro (in aumento persino nell’ultimo decennio), che ha incrementato il “fatturato”, che ha un sempre maggior consenso per i valori che esprime e per le realizzazioni concrete che dimostra di fare. È il Terzo settore, se non l’aveste capito. Per tutta una serie di ragioni, dato che le attività delle quali si occupa hanno molto a che fare con la “fede pubblica” è necessario che si istituisca un soggetto “alto e altro” che vigili sugli enti, coordini i controlli, interloquisca – senza dar di gomito – con il terzo settore e con i cittadini. Deve essere istituita un’Authority, non c’è altro ragionamento che tenga. I soldi? Ho già dimostrato che l’attuale modello di vigilanza parcellizzata sul territorio (qualche buontempone lo chiama federalismo) costa molto di più. Quindi, una autorità costerebbe molto di meno, garantirebbe sia lo Stato sia i cittadini. Vedete? Da A (bisogno) a B (soluzione). Quello che stanno pensando nel ddl di Riforma è invece un ufficio rintanato nel sottoscala di Palazzo Chigi che dipenderà dalle volontà politiche / partitiche dell’ospite di turno (di Palazzo Chigi). Quello è l’arabesco.