Secondo l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), per arginare il riscaldamento globale è necessario cambiare dieta e ridurre drasticamente il consumo di carne. È la prima volta che l’ente intergovernativo si esprime in maniera così netta sulle abitudini alimentari come strumento (non l’unico ovviamente) per raggiungere l’obiettivo di contenere entro 1,5 gradi centigradi l’aumento della temperatura mondiale rispetto all’epoca pre-industriale. Al report hanno lavorato oltre 100 esperti, la metà dei quali provenienti da paesi in via di sviluppo.

Alimentazione, ambiente e salute

I dati sono contenuti nel report Climate change and land, in particolare nel capitolo 5, sulla sicurezza alimentare. «Per esempio – si legge nel documento – dimezzare il consumo di carne, prodotti caseari e uova nell’Unione europea porterebbe alla riduzione del 40 per cento delle emossioni di ammoniaca, tra il 25 e il 40 per cento dei gas serra esclusa l’anidride carbonica (provenienti principalmente dall’agricoltura), del 23 per cento pro capite dell’uso di terre per la coltivazione, con una parallela diminuzione dei rischi per la salute legati all’alimentazione». L’aspetto interessante rilevato dallo studio (che a sua volta cita decine di altri studi scientifici al riguardo) è che una modifica sostanziale delle abitudini alimentari agirebbe in maniera positiva su due fattori: ambiente e salute. Uno degli studi riportati conclude che solo l’adozione su larga scala di una dieta “flexitariana” potrà permettere di mantenere la temperatura sotto i 2 gradi centigradi (che come abbiamo spiegato non basta a farci stare tranquilli). I dati mostrano però che per avere un impatto sostanziale sulle temperature mondiali non è sufficiente rimodellare l’alimentazione globale considerando solo gli aspetti legati alla salute. Bisogna elaborare un modello che tenga conto di questa e dell’impatto ambientale assieme. «Non vogliamo dire alle persone cosa devono mangiare», ha commentato su Nature Hans-Otto Pörtner, un ecologista che collabora con il gruppo di lavoro dell’IPCC su impatto, adattamento e vulnerabilità. «Ma sarebbe di grande beneficio per il clima e la salute umana se le persone nei paesi ricchi consumassero meno carne, e se la politica creasse incentivi appropriati affinché questo avvenga».

Carne e agricoltura

Il problema di mantenere un alto consumo di carne è legato alle altissime risorse ambientali necessarie a gestire gli allevamenti. Spesso per creare spazio per il bestiame si abbattono boschi e foreste, creando un danno diretto all’ambiente. Inoltre i bovini, durante il processo digestivo, producono grandi quantittà di metano, un gas dal potentissimo ruolo nel fenomeno dell’effetto serra. «Da qui al 2050, un cambiamento alimentare radicale potrebbe liberare diversi milioni di chilometri quadrati di terra e ridurre le emissioni globali di anidride carbonica fino a otto miliardi di tonnellate all’anno». Non è la prima volta che si parla del legame tra alimentazione ed emergenza climatica, ma il fatto che questo parere sia espresso nel report di un ente così autorevole lo rende un forte richiamo all’azione per la politica, i produttori e la popolazione.