In un momento in cui l’acquisto compulsivo da piattaforme online e centri commerciali è la norma in molte parti del mondo, Italia compresa, c’è un movimento che punta in direzione opposta: verso il consumo consapevole e le economie di condivisione.

Per evitare gli acquisti superflui, la newsletter Well del New York Times raccomanda alcune strategie, come per esempio cancellare i dati della carta di credito dagli account online, rendendo gli acquisti meno convenienti. In questo modo si introduce un “attrito” nel processo di acquisto, dando all’utente il tempo di valutare se l’acquisto è effettivamente necessario. Anche bloccare le notifiche promozionali e le notifiche dei rivenditori può aiutare a evitare gli acquisti impulsivi.

Un’altra strategia chiave consiste nell’evitare di acquistare per il proprio “sé futuro”, concentrandosi invece su articoli utili nella vita quotidiana attuale. Spesso infatti le persone cadono nella trappola di acquistare oggetti per una versione idealizzata di sé, con il risultato di ritrovarsi con oggetti inutili e denaro sprecato. Un’altra tecnica utile consiste nel fare una “pausa negli acquisti”, tenendo traccia per un mese degli acquisti non essenziali a cui si sta pensando e rivalutando poi se si desidera ancora farli. Questo aiuta a identificare gli schemi delle proprie abitudini di acquisto e a riconoscere i fattori emotivi, come lo stress, la tristezza o la noia, che possono portare a spese inutili.

Al di là di queste tecniche, un ulteriore approccio al consumo responsabile è quello della sharing economy (economia della condivisione). Un esempio importante in questo senso è rappresentato dalle cosiddette “oggetteche”, o “biblioteche degli oggetti”, che si stanno diffondendo in Italia e in altre parti d’Europa. Queste biblioteche offrono una vasta gamma di oggetti per uso temporaneo, che vanno da utensili elettrici ed elettrodomestici da cucina ad attrezzature per il giardinaggio e il tempo libero. Il concetto è semplice: invece di acquistare oggetti che vengono usati solo occasionalmente, le persone possono prenderli in prestito dalla biblioteca pagando una piccola somma o sottoscrivendo un abbonamento. In questo modo, si risparmia anche spazio, dato che gli oggetti vengono presi in prestito solo occasionalmente.

La prima biblioteca italiana delle cose, Leila, ha aperto a Bologna nel 2016 e, da allora, sono nate iniziative simili in città come Palermo, Brescia, Treviso e Ravenna. Queste biblioteche operano secondo il principio della condivisione delle risorse, della riduzione dei consumi e della promozione del senso di comunità. Fornendo l’accesso a una varietà di oggetti, consentono alle persone di risparmiare denaro, ridurre il disordine e minimizzare l’impatto ambientale.

Le biblioteche delle cose funzionano in modo simile. In genere, i membri pagano una quota annuale che consente loro di prendere in prestito gratuitamente gli oggetti della biblioteca per un periodo di tempo specifico. Al termine del prestito, gli oggetti devono essere restituiti. Più gli oggetti sono curati e utili, più il servizio diventa prezioso e soddisfacente.

Il concetto va oltre il semplice prestito e punta a cambiare la percezione che le persone hanno del possesso. Invece di accumulare oggetti usati di rado nelle proprie case, queste risorse possono essere condivise e godute da più persone. Questo approccio favorisce il senso di responsabilità e rafforza i legami comunitari.

Oltre all’Italia, la sharing economy sta prendendo piede anche in altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, sono presenti biblioteche dell’abbigliamento in cui è possibile prendere in prestito vestiti, giochi da tavolo e materiale artistico. Il Paese ha anche la prima iniziativa di “food-sharing”, che distribuisce gratuitamente le eccedenze alimentari di paesi e privati, nel rispetto degli standard di salute e sicurezza.

Nonostante la crescente popolarità delle librerie di oggetti, rimangono alcune sfide da affrontare. Un problema è la scomodità di dover raccogliere e trasportare gli oggetti, soprattutto quelli più ingombranti. Un’altra è convincere le persone a condividere le proprie cose, poiché in molti preferiscono donare gli oggetti di cui non hanno più bisogno piuttosto che prestarli.

Per superare questi ostacoli, le biblioteche delle cose si concentrano sulla creazione di un cambiamento culturale che enfatizzi i benefici della condivisione e della collaborazione comunitaria. Alcune biblioteche offrono anche laboratori per insegnare alle persone a utilizzare, mantenere e riparare gli oggetti, promuovendo la condivisione delle competenze e riducendo gli sprechi.

(Foto di Juliane Liebermann su Unsplash)

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