La prima notizia del 2014, purtroppo, la prendiamo dalla cronaca nera. Da inizio anno a oggi, sono già due i suicidi avvenuti nelle carceri italiane. Un inizio poco incoraggiante per la tutela dei diritti umani. Le due vittime si sono impiccate l’uno nel pomeriggio del 3 gennaio nel carcere di Ivrea, l’altro nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nel nuovo complesso romano di Rebibbia. Ancora presto ovviamente per ipotizzare le motivazioni dei due sfortunati protagonisti, ma la gravità degli episodi riflette quella delle condizioni generali delle carceri italiane. È probabile che si possa chiamare in causa il problema endemico del nostro sistema carcerario, ossia il sovraffollamento, dal quale si può fare derivare tutta una serie di problemi. Il secondo suicida, per esempio, era un uomo di 53 anni con problemi psichici accusato di omicidio. Il carcere è un ambiente che può piegare i caratteri più forti, quindi i rischi aumentano ancora di più se a finirci dentro è una persona fragile. È importante l’attenzione che si dedica al singolo detenuto, soprattutto in casi come questo, e che egli riceva i trattamenti di cui ha bisogno da parte di professionisti competenti, in un ambiente che favorisca la riabilitazione, e non la caduta inesorabile verso l’abisso. Ma se ci sono troppe persone rispetto alle strutture in funzione, la qualità generale del trattamento non può che adeguarsi in senso negativo.

Per intervenire sul sovraffollamento, le prime soluzioni che vengono in mente sono due: un provvedimento di clemenza per decongestionare il sistema e la costruzione di nuove carceri. La seconda richiede investimenti e tempo che forse al momento non possiamo permetterci, e la pongono quindi tra le soluzioni di lungo periodo. La prima invece avrebbe un effetto immediato e nessun costo di applicazione. Si può ragionare sul fatto che sia o meno moralmente giusto fare uscire di carcere prima del previsto un gran numero di persone. Con quali criteri? Quale sarebbe il destino di queste persone una volta tornate in libertà? Ci sarebbe un percorso di reinserimento o ognuno dovrebbe pensare a se stesso? C’è un altro problema che rischia di rendere inefficace un provvedimento in tal senso, ossia la legge italiana, che prevede il carcere per alcuni reati che potrebbero essere affrontati con strumenti diversi dalla detenzione. Su tutti, la detenzione di sostanze stupefacenti.

Osservatorio Antigone ha pubblicato nel 2011 il Libro bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, che nel 2006 ha ampliato i casi in cui è previsto l’arresto per detenzione di sostanze stupefacenti. «Al 17 novembre 2011 erano 28.636 i detenuti imputati presenti in carcere: di questi, ben 11.380 erano imputati in violazione alla legge stupefacenti. Alla stessa data, i detenuti condannati erano 37.750: di questi, 14.590 per violazione della legge sugli stupefacenti. Si deve perciò alla legge antidroga la presenza di circa un terzo dei detenuti in attesa di giudizio, e di quasi il 40 per cento (38,6 per cento per l’esattezza) dei ristretti già condannati». Dopo due anni la situazione non è cambiata, come ha ricordato a ottobre 2013 il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri: «Il reato per il quale è ristretto il maggior numero di detenuti è quello di produzione e spaccio di stupefacenti. Per tali fattispecie sono ristrette ben 23.094 persone: di queste 14.378 sono condannate definitivamente mentre 8.657 sono in custodia cautelare e 59 internate».

Ecco perché dovremmo prendere in considerazione di fare un passo indietro, verso il 1993, quando la maggioranza dei votanti si espresse in un referendum a favore della depenalizzazione del reato di detenzione di sostanze stupefacenti. Dovremmo guardare, con serenità e senza pregiudizi, al Portogallo, dove dal 2001 è in vigore una legge che fa proprio questo, e rende il possesso di stupefacenti una questione di cui lo Stato si fa carico a livello medico, proponendo (e finanziando) un percorso (non obbligatorio) di recupero del paziente. Dopo 12 anni di applicazione di quella legge, il consumo di droga è diminuito, l’epidemia di Aids si è fermata e i reati sono diminuiti.