Kilowatt è una di quelle realtà a cui facevamo riferimento nel nostro editoriale della scorsa settimana. È uno spazio modulare in cui ci si occupa di innovazione, consulenza, formazione, comunicazione e tanto altro. È stata fondata alcuni anni fa a Bologna da persone giovani, che hanno rigenerato spazi abbandonati dentro uno dei parchi principali della città, i Giardini Margherita. Nicoletta Tranquillo, che da otto anni si occupa a tempo pieno delle attività di Kilowatt, ha pubblicato su Che-Fare alcune considerazioni sull’attuale situazione di stallo dovuta alle misure imposte per contenere l’epidemia di coronavirus COVID-19. Vediamo di seguito i punti principali della sua riflessione.
Resilienza
«Ci siamo sempre orgogliosamente raccontati come un’impresa ibrida, dove le attività for profit servono a finanziare quelle low profit o a fallimento di mercato (cito testualmente dai nostri Bilanci di Impatto), e dove l’impatto (ossia il cambiamento che vogliamo contribuire a generare nella comunità in cui viviamo) è possibile grazie a un funding mix attentamente costruito per bilanciare entrate incerte (fondi pubblici, bandi, ecc.) con entrate di mercato. Ma quanto resiliente è questo modello? Quando le cose vanno bene lavoriamo per il bene comune, e quando le cose vanno male, chi ci viene in aiuto? Queste domande non sono solo le nostre, ma sono quelle di migliaia di operatori della cultura e del sociale che si trovano nella nostra stessa situazione».
Non inquadrabili
«Le nostre attività sono state lodate, raccontate nei convegni, sono servite a rendere le città in cui operiamo luoghi più attrattivi per city-users e turisti, ma non si sono, contemporaneamente, organizzate per essere un soggetto riconosciuto, con una voce forte e autorevole, non sono una classe chiara né rilevante del PIL, ma, soprattutto, sono andate lentamente a sostituire il ruolo del pubblico. E così, ora che la macchina si ferma e che l’Italia tutta pensa alla crisi, le prime misure che vengono messe in campo non ci riguardano, i soggetti convocati ai tavoli non ci rappresentano, la nostra complessità, che è sinonimo di ricchezza, genialità, creatività, ci rendono soggetti difficili da inquadrare e da aiutare».
L’Europa è un’opportunità
«Anche se per ora non sembra che l’Europa arrivi una strategia di rilancio né che questa sia l’occasione per rilanciare una visione comunitaria e mutualistica forte e rilevante, dal punto di vista lavorativo potrebbe comunque essere un’ancora di salvezza. E quindi potremmo dedicare parte di questi 40 giorni a cercare i bandi e i finanziamenti europei che ci aiutino a superare il fossato che abbiamo davanti, puntando sull’innovazione dei modelli e dei servizi che offriamo, ampliando le relazioni che sono tra i nostri principali asset».
Ridisegnare il ruolo pubblico nel sociale e nella cultura
Il valore immateriale e intrinseco di questi settori, in questi giorni di isolamento, emerge con chiarezza a tutti e diventa molto più materiale e strumentale di altri settori (energia, trasporti, turismo, manifattura, ecc.) che invece hanno monopolizzato il discorso sulla crescita economica del nostro paese negli anni. Cambiano le nostre scale di giudizio e i punti di riferimento nella costruzione della nostra quotidianità e di ciò che ne determina il benessere, il punto di soddisfazione e di equilibrio.
Un modello di produzione e consumo sostenibile
Sono anni che lavoro sui temi della sostenibilità, le soluzioni da adottare sono chiare e disponibili, le conseguenze a cui andiamo incontro (a cui stiamo già oggi assistendo) sono previste e dichiarate da tempo, ma nonostante questo la nostra avversione al cambiamento e i presidi di potere (economico e finanziario) hanno reso impossibile qualsiasi ripensamento serio dei sistemi produttivi e di consumo. Ma questo periodo di cambiamento forzato forse può farci capire come certi mutamenti, certe scelte siano più facili e fattibili di ciò che credevamo».
Abitare il futuro
«Abbiamo costruito una società che prende decisioni basandosi su trend e dati storici, che non rappresentano più nessuno, incapaci di cogliere i cambiamenti a cui assistiamo, ma che confortano analisi e statistici perchè rispondono a modelli prevedibili (appunto!). Invece dobbiamo mollare gli ormeggi, abbandonare le previsioni (forecast) e imparare a muoverci e a prendere decisioni creando scenari (foresight), anticipazioni e nuovi immaginari».
(Foto di Francesco Pierantoni su flickr)