Oggi ci addentriamo in una riflessione su ciò che ci aspetta, con tutti i limiti di un commento fatto mentre le cose succedono, quando manca la prospettiva storica che permette di analizzare con distacco i fenomeni. Ci sembra di poter dire che la crisi in corso a causa della pandemia di sindrome da coronavirus (COVID-19) sia la prima vera sfida che la generazione che oggi ha tra i 30 e i 40 anni si trova ad affrontare in Italia. Non ci riferiamo tanto alla crisi sanitaria, all’emergenza del momento che la politica e il mondo della sanità stanno affrontando, con la collaborazione (non sempre impeccabile) della popolazione. Su questo è presto per esprimere giudizi. Si poteva agire prima? Si poteva agire diversamente? Il tempo lo dirà. La sfida a cui facciamo riferimento nel titolo è la difficile ripresa che seguirà il lungo periodo di chiusure forzate che stiamo attraversando.
Due generazioni fa
Risalendo il corso della storia recente si arriva, appena un paio di generazioni fa, al periodo tra le due Guerre e poi al Secondo Dopoguerra. Situazioni drammatiche, in cui il processo di ricostruzione doveva fare i conti con la morte di centinaia di migliaia di persone, tra cui molti giovani maschi, e con intere città che erano state fisicamente distrutte: case, industrie, monumenti, vie di comunicazione, infrastrutture. Una situazione difficile da immaginare per chi è nato dopo. Certo si tratta di una periodizzazione arbitraria e piena di limiti (quelli che hanno meno di 30 anni di che generazione fanno parte? e quelli che ne hanno tra i 40 e i 45?). Ma comunque si può dire senza troppi indugi che dagli anni ’50-’60 del Novecento le cose non hanno fatto che andare progressivamente meglio. L’Italia è diventata un paese industrializzato – pur con tutte le differenze territoriali tra Nord e Sud che permangono tuttora – la scolarizzazione è aumentata costantemente, il numero di persone che sono diventate “classe media” è cresciuto, ecc.
La crisi del 2008
Con la crisi del 2008 le cose sono cambiate, e in quel periodo si è cominciato a parlare della “prima generazione che sta peggio di quella precedente” (a conferma del fatto che la percezione fino a quel momento era di un continuo miglioramento, seppure non costante né uniforme). Ma è stata una crisi molto diversa da quella attuale, che si è risolta in parte facendo affidamento alla solidità finanziaria e patrimoniale della generazione precedente. Molte persone hanno perso il lavoro (oppure l’hanno mantenuto, perdendo ciononostante l’indipendenza economica) e sono dovute tornare a stare dai genitori. Ma appunto, c’erano persone e rendite a cui appoggiarsi, pur con tutta la frustrazione e la precarietà del caso. Anche le pensioni dei familiari più anziani sono state importanti per tenere in piedi persone e nuclei che altrimenti avrebbero rischiato l’indigenza, magari perchè intrappolati in una condizione di disoccupazione e senza accesso ad ammortizzatori sociali. Una pericolosa condizione in cui la generazione più giovane si appoggiava a quella precedente. Poi l’economia ha lentamente ripreso a crescere, ma senza mai arrivare ai livelli precedenti alla crisi. Si è sviluppato un sistema fragile e frammentato, dove molti si sono dovuti abituare all’idea di stare un po’ peggio di prima, pensando più a tirare avanti che ai progetti per il futuro. In questo contesto si innesta la sfida che a breve dovremo affrontare.
La sfida di oggi
La COVID-19 sta colpendo soprattutto le persone anziane, le stesse che erano diventate un supporto economico (e non solo: pensate a quanti nonni si sono trasformati in baby-sitter a tempo pieno, per risparmiare qualcosa) per molte famiglie. Di più, la chiusura di bar, ristoranti, negozi, l’azzeramento improvviso del turismo e di tutto l’indotto che genera, in un paese che negli ultimi anni stava puntando molto (forse troppo) proprio su turismo e offerta enogastronomica, avrà un impatto fortissimo. Un quadro fatto sia di tanti esercizi commerciali di lungo corso che vanno avanti a fatica proprio a causa della crisi del 2008, sia di iniziative imprenditoriali più recenti, magari avviate approfittando di fondi europei, promettenti ma ancora acerbe e poco solide. Anche una sola settimana di chiusura forzata è un problema per queste realtà. Figuriamoci un mese. Perché di fatto tra restare aperti ma senza avere clienti (come accade a molti esercizi da un paio di settimane) e chiudere la differenza è poca. Spesso, economicamente, è più conveniente la seconda, almeno si risparmia sulle utenze e il personale. I paragoni con il Dopoguerra, che qualcuno ha avanzato, sono inappropriati. Proprio per le premesse che facevamo, si tratta di eventi non confrontabili. Ma di certo, quando sarà tutto finito, ci sarà da ricostruire.
Risorse nuove
L’economia non è fatta solo di numeri ma, come scrivevamo qualche giorno fa, di fiducia, e quindi di relazioni. Le stesse che, per limitare la diffusione del virus, siamo indotti a evitare. E stavolta non abbiamo davanti un nemico facilmente identificabile (i kamikaze, l’esercito nazista, i Goti), che possa generare un senso di solidarietà e farci sentire uniti nella disgrazia. Oggi il nemico può di volta in volta essere il passante, il negoziante, ma anche il vicino di casa, l’amico, il familiare. I numeri del contagio continuano a crescere, e il sentimento che ci accomuna è la diffidenza. La sfida della ricostruzione richiederà di fare appello a risorse che finora questa generazione ha esplorato poco. Ne usciremo se tutti capiremo che il bene del singolo passa per il bene della comunità di cui fa parte; che unire le forze per creare qualcosa di nuovo è un processo faticoso ma necessario, se si vogliono ottenere risultati che restino. Non è il momento di lamentarsi di come sono fatti gli italiani, ma di immaginare come possiamo diventare, di scoprire altri sentimenti, altre dinamiche che non abbiamo ancora incontrato nel nostro percorso, ma che ci possono fare crescere e migliorare. Di preferire, insomma, la solidarietà operosa all’egoismo. Come Avis Legnano, la nostra fonte di speranza per il futuro è costituita dai tanti donatori e donatrici che ogni giorno vincono la sfida più importante, quella contro la paura e la diffidenza, e vengono a donare il sangue. Li ringraziamo da parte di tutte le persone che, per merito loro, continuano a poter essere curate negli ospedali di tutta Italia.
(Foto di Gregorio Nuti su Unsplash)