L’epidemia di coronavirus in corso sta modificando pesantemente le abitudini e gli stili di vita a cui siamo abituati, e tutto fa pensare che non si tratterà di un fenomeno passeggero. O meglio, col passare del tempo avremo sempre più informazioni e sapremo fare fronte al problema, ma ci vorrà del tempo. Ciò che emerge però è una certa impreparazione a gestire una crisi del genere, sia da parte della politica, sia nella società civile. La prima si muove con difficoltà tra decreti d’urgenza presi giorno per giorno, affidandosi ai pareri della comunità scientifica con misure anche drastiche, cercando al contempo di arginare i danni economici che tali misure implicano. La seconda, con le ormai note corse all’accaparramento di scorte di cibo, mascherine e disinfettanti, è evidentemente persa e confusa tra messaggi contraddittori e incertezze verso il futuro.

Mancanza di programmazione

Nel caso della politica, a mancare è stato un piano d’azione su scenari di questo tipo. Sono giorni che si discute del fatto che la scienza da tempo ipotizzava l’arrivo di una malattia molto simile a quella che stiamo affrontando in questi giorni. Oggi i politici si affidano con grande enfasi ai pareri dei comitati scientifici, ma è evidente che si naviga a vista. Si potevano consultare in tempi normali gli scienziati, leggere con attenzione le loro ricerche e progettare con loro una strategia da tenere nel cassetto. Marco Dotti, su Vita, cita l’esperto di pianificazione strategica Jean-Marc Yvon, che «ha osservato che tutti i dati storici recenti dimostrano una cosa: l’entità Stato, davanti a crisi di questo tipo, risponde in maniera spesso tardiva e debole. Una riflessione che chiama in causa la società civile e il concetto stesso di sussidiarietà. Davanti a uno Stato che ritarda, possono i corpi intermedi giocare tattiche attendiste? In Francia se ne sta dibattendo. Ma c’è da pensare che anche in Italia, nei prossimi mesi, la società civile organizzata si troverà sempre più davanti a scelte dettate dal cambio di orizzonte e di paradigma innescato dal coronavirus».

Un problema sociale

La politica insiste nel trattare l’emergenza del coronavirus come un fenomeno sanitario ed economico, ma la realtà è che si tratta anche di un fatto sociale: «Servono strumenti di pianificazione coerente – prosegue Dotti –, che tengano insieme mezzi e fini, vocazione e organizzazione, cooperazione e capacità di tessere nuove reti. Serve che, grazie alla spinta degli ambienti culturali più avanzati del Terzo settore, si avvii una riflessione vera sul nostro agire, sul nostro comunicare, sul nostro pensare e pensarci insieme. Per dare continuità, ma innovando. Servono piani di continuità civica». La conseguenza dell’assenza di tali piani è il crollo di fiducia che si registra in tanti strati della popolazione nei confronti delle autorità. Abbiamo già assistito ai primi tentativi di persone che cercano di allontanarsi dalla zona rossa, perché non ne possono più di stare in casa. C’è da gestire una tensione che si sta accumulando, e che potrebbe venire a galla in modi e tempi imprevedibili. Sempre su Vita, un articolo di Paolo Venturi riprende questo tema: «Attenzione, perché la paura, potenzialmente, può essere un collante e un fattore di legame sociale. Le persone, quando provano paura, possono  mettersi insieme. Ma la paura ricombinata con la sfiducia crea una dissoluzione potenzialmente devastante dei meccanismi cooperativi». Prevedere sussidi all’economia senza curarsi di questa crisi è una scelta miope, perché non prende in considerazione il peso della fiducia negli scambi economici: «Il soggetto che ha più bisogno di fiducia è l’economia, perché senza  fiducia l’economia non produce scambi. Senza fiducia gli scambi non solo costano di più, ma non si attivano. Senza scambio l’economia crolla […] Serve il potenziamento della comunità e della società civile. In una società del rischio, se non rimettiamo al centro la società civile anche coprirci dai nuovi rischi, di cui il coronavirus è solo un aspetto del problema, non ne usciremo mai».

(Foto di Mark Fletcher-Brown su Unsplash)