In Italia la corruzione è ancora un problema che si pone ai primi posti nella gestione della cosa pubblica. A dirlo è il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte. Una piaga che «oltre al prestigio, all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione pregiudica l’economia della nazione». L’appello purtroppo non è di tenore diverso rispetto all’inaugurazione del 2012, quando lo stesso Giampaolino ammoniva che «ogni anno lo Stato perde tra costi della corruzione ed evasione fiscale (spesso collegata alla prima) un’ingente quantità di denaro». Insomma, possiamo immaginarlo mentre redige la sua relazione, di anno in anno, nello sforzo di trovare formule nuove, per esprimere un concetto che stenta a modificarsi.
E non sono solo chiacchiere, se qualcuno ne dubitasse. Secondo uno studio presentato a fine gennaio da Alberto Vannucci, docente di scienza della politica all’università di Pisa, all’incontro su amministrazione pubblica e legalità, organizzato a Corsico dalla Scuola delle buone pratiche di Terre di mezzo e Legautonomie, nel 2010 le persone condannate per corruzione sono state appena 250. In media le denunce sono 200 all’anno. Segno che chi corrompe ha una buona probabilità di scamparla. Si legge nello studio che «da un’indagine statistica di Eurobarometro è emerso che il 13 per cento degli italiani sono stati coinvolti almeno una volta in un episodio di corruzione, come corruttori o come corrotti». Come dire, i conti non tornano. Allo stesso incontro, il sindaco di Corsico, Maria Ferrucci, ha confermato che per i Comuni il problema principale è contrastare la corruzione e le infiltrazioni mafiose nel proprio territorio. «La corruzione crea quella fascia grigia intorno alle amministrazioni che permette a certi personaggi di fare affari», ha aggiunto Roberto Bontà, vicepresidente di Avviso Pubblico (associazione di enti locali e regionali per la formazione civile contro le mafie).
Questo per sottolineare quanto poco si stia facendo per mettere in atto una vera e capillare azione di contrasto alla corruzione, dal punto di vista del diritto ma ancora prima a livello di controllo e intervento sulle attività della macchina pubblica. Tornando alla relazione di Giampaolino e Salvatore Nottola (procuratore generale della corte), il quadro che ne emerge è quello di un Paese con gravi falle da sanare in ogni settore della gestione pubblica. Dall’eccessiva pressione fiscale all’indebitamento degli enti locali e dei 5mila organismi da essi partecipati, per i quali si stima un debito pari a 34 miliardi di euro. «La gestione degli enti partecipati spesso sfugge al controllo dell’ente» e comunque sullo stesso gravano «le conseguenze dannose di una gestione disavveduta o di comportamenti illeciti, a volte anche delittuosi». La corruzione «si annida frequentemente», ha sottolineato Nottola, nelle società miste pubblico-privato che gestiscono i servizi pubblici.
Si parla poi di frodi nei programmi infrastrutturali per un miliardo di euro in dieci anni sui fondi erogati dall’Unione europea, e altre «finalizzate all’appropriazione illecita di denaro pubblico, violazione del patto di stabilità, utilizzo di strumenti finanziari derivati, emergenza rifiuti, numerosi casi in tema di malasanità, inefficienze nel settore scolastico, gravi irregolarità negli appalti di lavori, servizi e forniture, nonché opere incompiute, mal realizzate o inutilizzate, violazioni in tema di urbanistica, multiformi specie di disservizi tra i quali è stato tipizzato dalla legge anche quello dell’assenteismo». Giampaolino ha sottolineato anche l’illecito «conferimento di consulenze o incarichi, delle prestazioni rese senza titolo, delle spese di rappresentanza e dell’uso improprio di auto di servizio o di altre risorse istituzionali». Ci permettiamo di suggerire (sempre agli stessi, ossia i nostri attuali e futuri rappresentanti) che non è più il momento di preoccuparsi e denunciare, ma di agire, invece di perdere tempo a fare promesse.