Aggiornamento: la corte europea ha valutato positivamente gli sforzi fatti dall’Italia per migliorare la situazione carceraria. Un’ulteriore valutazione del sistema è fissata per la metà di giugno. Di seguito la dichiarazione di Patrizio Gonnella, presidente di Osservatorio Antigone: «La decisione del Consiglio d’Europa riconosce gli sforzi fatti e apprezza le misure adottate ma non allontana lo sguardo dal sistema penitenziario italiano. Non bisogna tornare indietro. Anzi. Va ulteriormente ridotto il tasso di affollamento, umanizzata la vita nelle carceri, preservata la salute, proibita la tortura. Con le nostre osservazioni e denunce ci sentiamo corresponsabili del processo riformatore che sarebbe un errore tragico interrompere. Si lascino perdere i predicatori del punitivismo altrimenti si torneranno a fare passi indietro sui diritti umani».
Il 28 maggio è scaduto il termine, fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, entro il quale l’Italia avrebbe dovuto adeguare il proprio sistema carcerario ai principi della Convenzione europea. Passata la scadenza, scattano le sanzioni. Ancora non si conosce esattamente la cifra che l’Italia dovrà versare ai detenuti che hanno fatto ricorso, ma se si trattasse, come ipotizzano alcuni giornali, di circa 15mila euro per ciascun ricorrente, si potrebbe arrivare attorno ai 100 milioni di euro. Nei quindici mesi a disposizione dell’Italia, più che cambiare il sistema carcerario, sono cambiati i ministri della Giustizia. C’era Paola Severino ai tempi della sentenza (governo Monti), alla quale è succeduta dopo pochi mesi Anna Maria Cancellieri (governo Letta), a sua volta sostituita dopo meno di un anno dall’attuale ministro Andrea Orlando. Difficile pensare a una riforma strutturale del sistema carcerario senza un minimo di stabilità politica.
Quanto fatto nel corso dei mesi scorsi è andato principalmente verso gli sconti di pena e l’aumento dei posti disponibili. «In poco più di un anno – scrive Fabio Pizzi su Unimondo – l’Italia è passata dall’avere più di 67mila detenuti a fronte di 46mila spazi detentivi disponibili a contare 60mila incarcerati con un incremento dei posti a 49mila, con una media di messa in libertà di circa 350 persone ogni mese». Non si può dire quindi che nulla sia stato fatto, ma sicuramente non tanto da convincere la corte che i nostri detenuti non subiscano in molti casi trattamenti «inumani e degradanti». «Si tratta di un modello totalmente reclusivo, passivizzante e chiaramente dal punto di vista della rieducazione sociale non serve a niente – ha detto Mauro Palma, fondatore e presidente onorario di Antigone –, non ti abitua a gestire la tua giornata, non ti abitua a metterti in gioco. La commissione voluta dal ministero ha analizzato tutta una serie di misure che impostavano il mutamento del modello detentivo italiano per portarlo in linea con le regole penitenziarie europee».
Il mondo dell’associazionismo dimostra di avere uno sguardo molto più lucido e avanzato rispetto alla politica, e infatti le attività che da esso ricadono sulla dimensione carceraria hanno contribuito a creare contesti costruttivi e positivi per i detenuti, ma restano eccezioni. Ecco perché, in una lettera firmata da numerose associazioni e personalità di ogni settore e indirizzata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, si chiede, tra le altre cose, un impegno maggiore nello stabilire un dialogo tra i due ambiti: «Nel nostro sistema penitenziario, per prassi consolidata, si è finiti per ritenere che la pena dovesse consistere nella chiusura in cella con pochissimo tempo (a volte solo due ore giornaliere) a disposizione per la vita sociale. È questo il momento di produrre il massimo sforzo per cambiare un modello di gestione, fondato sulla soggezione, l’afflizione e l’umiliazione. Ci vuole un gruppo di regia forte, con anche doti di tipo manageriale e spirito innovativo, che renda prassi operativa in tutto il territorio nazionale ciò che proficuamente, il mondo ricco del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale ha prodotto in questi anni con enorme sacrificio. Il Ministero della Giustizia non deve tardare ad aprirsi in maniera determinata a questo pezzo importante della società civile non avendo paura delle forti resistenze che provengono dall’interno». Ciò che si può sperare è che la Corte conceda una proroga all’Italia, e che quest’ultima sfrutti i “tempi supplementari” meglio di come ha fatto con quelli regolamentari.