Domenica 2 dicembre a Katowice, in Polonia, si è riunita la conferenza delle Nazioni Unite COP24 sul cambiamento climatico, che si concluderà il 14 dicembre. L’Unione europea ci arriva proprio a ridosso del lancio della sua strategia di lungo termine per ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Il programma della conferenza è direttamente collegato all’incontro di Parigi del 2015, la COP21. Allora si decisero gli obiettivi, oggi bisogna elaborare una strategia concreta per realizzarli. Sintetizzando al massimo, il risultato principale della COP21 fu di mettere d’accordo tutti i partecipanti su un impegno comune: mantenere l’incremento della temperatura terrestre dall’inizio dell’era industriale entro i 2°C, ancora meglio se entro 1,5°C.
Tre anni dopo, è il momento di elaborare il rulebook (regolamento) dell’accordo, altrimenti detto Paris Agreement Work Programme (Pawp), cioè il Programma di lavoro per gli accordi di Parigi. Si dovranno stabilire modalità, procedure, linee guida e tutto ciò che serve per realizzare gli obiettivi della COP21.
Un grosso problema sull’efficacia dell’incontro è dato dalla decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di sfilarsi dall’accordo (scelta ampiamente annunciata in campagna elettorale). Trattandosi di una delle maggiori economie mondiali, quella degli Usa rischia di essere una mossa che rende vano tutto il programma, o che comunque ne riduce la portata. Ciò che Trump e la sua amministrazione continuano a negare o a ignorare è sempre più confermato dalle ricerche scientifiche. È stato pubblicato un rapporto realizzato «da 13 agenzie federali Usa il 23 novembre, delegato dal Congresso e reso pubblico dalla Casa Bianca – scrive Lavoce.info –. Il messaggio centrale è che i cambiamenti climatici potrebbero ridurre di un decimo il Pil statunitense entro il 2100, più del doppio delle perdite della grande recessione di un decennio fa». Ecco perché la scelta di Trump potrebbe ritorcersi contro il suo stesso Paese, ma con tempistiche che non intaccheranno la sua linea politica.
L’Unione europea sta invece dimostrando di volersi porre come soggetto capofila di un radicale cambiamento di approccio verso il problema ambientale. Come dicevamo in apertura, il 28 novembre è stato presentato dal commissario per l’azione per il clima e l’energia, Miguel Arias Cañete, un programma che propone otto diversi scenari: una combinazione di diverse strategie per abbattere le emissioni di CO2 entro il 2050. Si tratta di un ulteriore impegno, ambizioso quanto necessario, che va oltre il precedente accordo dell’Ue che prevedeva la riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 45 per cento entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2050.
Come riporta Politico, il piano richiede grandi investimenti in infrastrutture, che dovranno arrivare principalmente dal settore privato. Si parla del 2,8 per cento del prodotto interno lordo dell’intera Unione europea, circa 290 miliardi di euro all’anno. Dall’altra parte, le previsioni dicono che andare in questa direzione porterà benefici non solo ambientali, ma anche economici. Abbattere le emissioni porterebbe a un aumento del prodotto interno lordo dell’Ue entro la metà del secolo, e a un risparmio tra i 2mila e i 3mila miliardi di euro nelle importazioni di carburante.