Una delle cose più difficili a cui abituarsi, di questi tempi, è fare a meno di tutti quei gesti di contatto che accompagnavano i saluti con amici, conoscenti, colleghi. Il semiologo Gianfranco Marrone, su Doppiozero, ci ragiona sopra, proponendo un gesto alternativo al gomito-contro-gomito e piede-contro-piede.
Niente più baci, abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle? Pare di no, almeno per adesso che, come ci hanno anche troppo ripetuto, di contatti fisici non se ne parla proprio. Fra le conseguenze di questa minuziosa riorganizzazione delle distanze sociali fra corpi che stiamo subendo, c’è una trasformazione delle cosiddette forme di cortesia. E in primo luogo dei saluti. Ce ne siamo accorti già da tempo, impacciati come siamo nel non sapere come comportarci quando incontriamo un amico, un parente o un collega, cosa fare e cosa no, che tipo di confidenza assumere, se e come manifestarla nei gesti prima ancora che con le parole, con il corpo più che con la mente. Accumuliamo figuracce, dietro la mascherina che cancella ogni sorriso e ogni smorfia. E altrettante ne subiamo, quando allunghiamo la mano verso il nostro interlocutore e costui, altrettanto imbarazzato, ci rifiuta la sua. Per non parlare dei baci – uno al Nord, due al Sud, tre Oltralpe, quattro in Russia… –, vietatissimi e insieme agognatissimi. O degli abbracci: segno di un’intimità più o meno forte, di un’amicizia più o meno ipocrita che vorremo coltivare senza però possedere i codici per farlo: quelli cui eravamo abituati e che adesso sono tutti a gambe all’aria. In attesa di nuovi patti collettivi e nuove regole condivise. Io che vivo in una regione che vanta un ex presidente soprannominato “vasa-vasa” so di cosa sto parlando: con quale altro gesto sostituire tanta ambigua esibizione d’affetto? La mascherina, ancora una volta, non aiuta. E lo sguardo, lasciato solo a costituire una qualche espressività, tende a perdere molta della sua prerogativa di strumento efficace nella gestione delle relazioni intersoggettive.