L’eccessiva retribuzione dei nostri parlamentari, tra stipendio, rimborsi, diaria e benefit vari, è da anni motivo di discussione (e grandi fastidi). A portare sulla ribalta la questione fu il libro “La Casta” (2007), di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Non che prima non se ne parlasse, ma i due giornalisti ebbero il merito di scoperchiare il calderone, pubblicando numeri, date, nomi e cognomi di una classe politica talmente intoccabile da suggerire, appunto, il titolo del libro: la casta. Negli ultimi mesi il tema ha infuocato il dibattito politico, soprattutto in campagna elettorale. C’è stato un partito, il MoVimento 5 Stelle, che ne ha fatto un cavallo di battaglia, promettendo di restituire parte dei compensi, oppure reinvestirli in attività utili (come in Sicilia, dove gli extra-guadagni sono diventati credito alle imprese). Gli altri partiti, chi più chi meno, hanno risposto alla chiamata introducendo nei propri programmi elettorali forti richiami a un netto taglio dei costi della politica. I presidenti di Camera e Senato, per esempio, appena eletti hanno dichiarato che si sarebbero tagliati lo stipendio. Poi, una volta nominato il governo, è arrivata la “moda” per i ministri (provenienti da partiti di destra e di sinistra) di presentarsi alle occasioni ufficiali con la propria auto, o in taxi. Insomma, tutti si sono sentiti in dovere di dare qualche tipo di segnale alla gente, per dire «va bene, abbiamo marciato un po’ troppo sui nostri privilegi (noi o chi ci ha preceduti), occorre un passo indietro».
Intanto che aspettiamo le ricadute reali di tali buoni propositi (anche i 5 Stelle si sono un po’ incartati sulla questione della diaria: renderla? Non renderla? Renderla solo in parte?), possiamo dare un’occhiata allo stato attuale dei compensi dei nostri politici, grazie a uno studio pubblicato da Lavoce.info (prima parte di due). Si parte dal numero di rappresentanti presenti nei due rami del Parlamento (grafico). Com’è noto, l’Italia in valore assoluto ha il numero maggiore di eletti rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Il dato assume un’altra prospettiva se si considera in rapporto alla densità demografica. Qui infatti l’Italia perde molte posizioni in favore di altri Paesi in cui ogni parlamentare rappresenta un numero più esiguo di persone. Ma a ben guardare, sono gli Stati più piccoli o meno densamente popolati a stare davanti a noi: Irlanda, Finlandia, Svezia, Danimarca, Austria, Grecia, Portogallo, Belgio. Siamo invece sempre in testa sul resto della classifica, visto che dietro di noi stanno Francia, Paesi Bassi (unica eccezione), Spagna, Regno Unito e Germania. Il modello da seguire, in questo caso, potrebbe essere proprio quello tedesco, in cui (incrociando i dati con un’infografica de Linkiesta) un parlamentare rappresenta 118.339 persone, contro le 63.831 italiane. In questo caso, è il bicameralismo perfetto del nostro Paese a tenerci su cifre così alte.
Venendo alle retribuzioni (grafico), le indennità italiane restano anche qui superiori alla media europea, con una differenza di circa il 25 per cento sul secondo Paese più generoso con i propri politici, l’Austria. La differenza si assottiglia passando dal dato lordo a quello netto, a causa dell’alta pressione fiscale italiana, ma resta invariata la sua rilevanza se confrontiamo le indennità dei parlamentari con il reddito medio percepito. In Italia il rapporto è superiore a 3,5, contro un livello compreso tra 1,5 ed 2,5 per la maggior parte degli altri Stati. Quindi, al di là delle possibili derive populiste che la questione può innescare, i dati confermano che le retribuzioni italiane sono molto alte e ci sono ampi margini di riduzione. Per quanto riguarda i rimborsi, il confronto si fa più difficile perché i criteri di attribuzione sono diversi e sostanzialmente sembrano tendere a compensarsi tra i maggiori Paesi. La grossa discrepanza tra il nostro e altri sistemi è sull’obbligo di rendicontazione delle spese. In particolare, l’Italia rappresenta uno stadio intermedio tra Paesi come Francia e Germania, dove il rimborso è forfettario, e il Regno Unito, dove ogni spesa va giustificata. In Italia è sufficiente rendicontare il 50 per cento alla Camera e il 36 per cento al Senato. Visti i numerosi casi di utilizzo inappropriato delle risorse (pensiamo soprattutto ai rimborsi elettorali percepiti dai partiti, ma anche a quelli corrisposti ai consiglieri regionali), sarebbe il caso di introdurre l’obbligo per il 100 per cento delle spese.
In conclusione, ci permettiamo di suggerire che sarebbe interessante che qualcuno provasse a fare un confronto simile sulle istituzioni territoriali (regioni e province su tutte), perché probabilmente lì si annidano grosse differenze di trattamento tra noi e il resto d’Europa. Veri e propri apparati mangia soldi che nessuno ha il coraggio di scalfire.