Una delle questioni meno chiare, quando si parla di crisi finanziarie, è in che modo siano puniti i consulenti che hanno innescato (o per lo meno taciuto agli investitori) le probabili conseguenze di certe operazioni, e cosa si stia facendo per evitare che certe dinamiche si ripetano in futuro. Le risposte lasceranno in entrambi i casi piuttosto insoddisfatti. Nonostante la crisi del 2008, chi gestisce il patrimonio dei risparmiatori continua a ricevere bonus molto elevati quando riesce a ottenere guadagni (per i risparmiatori e quindi per la banca), ma non subisce conseguenze proporzionalmente negative quando ai guadagni si sostituiscono le perdite.
Il motivo è molto semplice: l’asset management (cioè la gestione del risparmio e dei servizi d’investimento) non rappresenta un rischio diretto per il bilancio delle banche, dunque rischi e perdite relativi a questo comparto ricadono principalmente sugli investitori. Per limitare il ricorso massiccio ai bonus destinati ai manager che operano in questo limbo di impunità, nel 2013 è stata introdotta una regola a livello europeo (contenuta nella direttiva Crd IV) che stabilisce un tetto a questa pratica: «La parte variabile della remunerazione non può eccedere il 100 per cento di quella fissa – sintetizza l’economista Angelo Baglioni su Lavoce.info –; solo se l’assemblea dei soci dà la sua approvazione (a maggioranza qualificata) il limite può essere elevato fino al 200 per cento. Peccato che la regola abbia una falla: si applica solo alle persone che siano identificate come “rilevanti”, cioè che possano avere un impatto significativo sui rischi assunti dalla banca. Ma chi decide quali sono le persone rilevanti? La banca stessa, seppure secondo regole prestabilite (regolamento UE del marzo 2014)».
Come troppe volte accade quando si cerca di riportare certi parametri entro soglie accettabili, traspare sempre una certa debolezza da parte del legislatore. È comprensibile infatti il principio per cui a grandi responsabilità e competenze corrispondano grandi guadagni. Può non piacere, ma è un principio base del sistema in cui viviamo. Pensate a un chirurgo, che ogni giorno salva delle vite ma ha addosso la responsabilità delle conseguenze di un suo eventuale errore o disattenzione. Ma nel caso dei banchieri, o almeno di questo tipo particolare, gli addetti all’asset management, questo principio non è applicabile perché, come sappiamo, quando ci sono problemi dovuti alla loro azione (o alla loro negligenza), lo stesso sistema che sa come premiarli non è in grado di punirli. Come conferma Baglioni, è proprio in questo settore che si concentrano i bonus più grandi: «Qui, il rapporto tra la parte variabile e quella fissa della remunerazione, per coloro che guadagnano almeno un milione, raggiunge mediamente il 468 per cento. Ciò grazie al fatto che oltre un terzo (36 per cento) di queste persone non è considerata rilevante per il profilo di rischio della banca (oltre a godere di specifiche esenzioni in alcuni paesi). Questa vasta area di esenzione è ragionevole? Forse sì dal punto di vista della banca: chi lavora nell’asset management gestisce patrimoni che sono separati dal bilancio della banca, quindi non mette direttamente a rischio il suo patrimonio (seppure possa fare molti danni in relazione al rischio legale a cui la banca è esposta). Tuttavia, chi dirige l’area della gestione del risparmio mette a rischio il denaro degli investitori. Ma questo non sembra interessare a chi stabilisce le remunerazioni dei manager, cioè alle banche stesse, con il beneplacito delle autorità di supervisione. Secondo il regolamento UE, infatti, chi riceve una remunerazione superiore al milione di euro dovrebbe essere sempre considerato rilevante per il profilo di rischio della banca, salvo in casi eccezionali approvati dall’autorità competente, previa notifica all’Abe; ma la stessa Abe si lamenta nel suo rapporto che il vincolo è largamente disatteso (pagina 10)».
Il rapporto Abe (Autorità bancaria europea) a cui fa riferimento l’economista propone i dati relativi agli high earners (dipendenti di operatori della finanza che guadagnano almeno un milione all’anno) di tutta Europa, ed emerge che il 14 per cento di questi è classificato come “non rilevante” dai suoi datori di lavoro. Letta così può sembrare una definizione poco qualificante, ma in realtà si traduce nella possibilità per questi operatori di ricevere bonus senza limiti. Indirettamente, le banche sembrano dire che a non essere “rilevanti” siano le conseguenze per i risparmiatori. Tra i quali si nascondono, non c’è dubbio, anche personaggi che hanno le spalle ben coperte in caso di crisi. Ma ci sono anche tanti privati cittadini che, a causa di consigli e rassicurazioni formulati ad arte, affidano i risparmi di una vita a operatori fin troppo disinvolti, coscienti del fatto che le conseguenze per loro, in caso di problemi, sarebbero “non rilevanti”.
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