Ieri si è svolta a Roma la manifestazione “500 No al Mibact”, contro il bando pubblicato a dicembre dal Ministero dei beni culturali. Il concorso in questione è rivolto a giovani laureati in discipline umanistiche, di non oltre 35 anni, per un anno di formazione allo scopo di contribuire all’inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, per un compenso complessivo di 5mila euro lordi. La protesta degli addetti ai lavori è scattata subito dopo la pubblicazione, non appena i diretti interessati si sono resi conto che con un programma del genere non si fa altro che reclutare giovani per un lavoro sottopagato (5mila euro per 12 mesi, cioè 416,68 euro al mese, sempre lordi) e che, una volta terminato, non prevede ulteriori prospettive. Un palliativo per portare avanti l’opera di digitalizzazione, col pretesto di “fare qualcosa per i giovani”, ma come al solito in maniera poco organica e molto pasticciona.

Salvo Barrano, presidente dell’Associazione nazionale archeologi, ha espresso commenti piuttosto duri in merito: «Questo bando più che altro sembra un insulto ai giovani e alla cultura, perché non ha nulla a che vedere con la progettazione seria e scrupolosa che è compito del Ministero». Così è nato un comitato composto da oltre 35 sigle (associazioni di archivisti, storici dell’arte, restauratori, antropologi, ecc.) che si sono date appuntamento ieri in piazza per chiedere che sia rispettato l’articolo 9 della Costituzione che prevede la tutela del patrimonio artistico e del paesaggio. Un obiettivo che non può essere raggiunto se dalle università e scuole di specializzazione italiane escono giovani formati e competenti che poi non possono lavorare o lo devono fare senza compenso e garanzie contrattuali adeguati. «Occorre mettere al centro della politica il settore dei beni culturali – osserva ancora Barrano –. La cultura in Italia sviluppa il 5 per cento del Pil: 75 miliardi di euro. Coinvolgendo quasi un milione e mezzo di lavoratori, senza contare quelli impegnati nel turismo».

Dovrebbe essere il motore della nostra economia e invece viene trattata dalla politica come una vecchia moto dimenticata in garage ad arrugginire. L’unica strada che si sta percorrendo per “rilanciare” il ruolo della cultura in Italia è affittare location molto evocative a questo o quell’evento aziendale. Che è un ottimo modo per fare cassa (la vicenda della Ferrari che affitta il Ponte Vecchio di Firenze ha fatto scuola), ma non è questo che dovrebbe fare la politica. I nostri luoghi d’arte non possono ridursi a location, parola che in sé non può che fare rabbrividire chi ha a cuore le innumerevoli bellezze artistiche del nostro Paese.

Il patrimonio che ci ha lasciato la storia ha bisogno di tutela e di trovare nuove forme per essere conosciuto, sia in Italia (rilanciando così il turismo interno, che è quello più in crisi) sia all’estero. Per fare questo c’è bisogno di una classe di lavoratori competenti e messi nelle condizioni di fare il proprio mestiere al meglio; favorire il ricambio generazionale nei ruoli dirigenziali in modo che i posti non siano più assegnati per appartenenza politica ma per merito. Se l’intenzione del bando in questione è di stimolare buona occupazione, «in una prospettiva di sviluppo del settore e in un corretto rapporto pubblico-privato – si legge nel sito “500no al Mibact”, occorre stanziare fondi adeguati per introdurre misure premiali che incentivino l’assunzione di professionisti da parte di imprese specializzate nel campo della tutela, della valorizzazione e della fruizione dei beni culturali».