Foto di Fabrice de Nola

Su ZeroNegativo da tempo abbiamo avviato una riflessione sul tema della cultura in Italia. Su come vada intesa e sfruttata l’immensa risorsa del patrimonio artistico del passato, e come sia necessario occuparci di farla rivivere nel nostro tempo, supportando la creatività di cui disponiamo oggi, che sarà il patrimonio culturale di domani. Andando a ritroso, abbiamo dato spazio al dibattito delle “Primarie della cultura” proposte dal Fondo per l’ambiente italiano; ci siamo espressi contro la visione da “parco a tema” cui molti vorrebbero ridurre i siti d’interesse storico e artistico del Paese; abbiamo riflettuto sulla dicotomia tra gestione privata e pubblica, ipotizzando la terza via del patrimonio artistico come bene comune; abbiamo ospitato un intervento di Michele Dantini che individua nella cultura un territorio di ricerca e non un patrimonio da cui attingere; abbiamo pubblicato e sottoscritto il manifesto “Niente cultura, niente sviluppo”, lanciato dal Sole 24 Ore. Oggi arricchiamo quello che sta diventando un vero e proprio dossier con uno stralcio dal lungo articolo pubblicato da Fabrizio Federici sul blog Minima & moralia. Nella prima parte del suo post, Federici individua i due atteggiamenti dominanti nel dibattito mediatico e politico (cioè ciò che si legge sui giornali, si sente in tivù, ma anche al bar), ossia il pensiero “economicista” (per cui la cultura è ridotta al patrimonio artistico archeologico e museale, che va sfruttato come rendita) e la retorica “identitaria” (dobbiamo rispettare e amare il lascito del passato perché noi veniamo da lì). Saltiamo per motivi di spazio questa prima parte e riportiamo la parte finale, in cui si espone una linea che per molti versi abbiamo già sostenuto, ma che viene argomentata in maniera interessante.

[…] Occorre, innanzitutto, rapportarsi in maniera più articolata e cosciente all’eredità del passato (assunta e discussa nella sua interezza, senza operare selezioni di comodo), con un atteggiamento non dissimile da quello che gli uomini del Rinascimento e dell’Età Moderna ebbero nei confronti dell’Antichità, sentita come idealmente vicina, ma comunque altra. Il godimento estetico non deve andare disgiunto da una profonda consapevolezza storica; all’apprezzamento per quei valori umanistici e universali di cui il patrimonio è portatore (l’aspirazione alla bellezza; l’armonia con la natura; la fatica; la perfezione esecutiva; la personalità creatrice, quando sia presente e riconoscibile) si deve abbinare la riflessione su quegli aspetti storici e sociali lontani dalla sensibilità attuale, che hanno condizionato la creazione artistica.

Bisogna inoltre rendere contemporaneo ciò che contemporaneo non è, risignificandolo o meglio aggiungendo ai significati che già ha altri significati, in dialogo con quelli più antichi. Ma la contemporaneità non si innesta sulle preesistenze a colpi di stravolgimenti: anziché pensare a sfregiare la skyline veneziana con il faraonico Palais Lumière, in altre parole, bisognerebbe preoccuparsi di far diventare (ovvero far tornare) Venezia una città viva, carica di memorie ma “al passo con i tempi”, che non muore -come fa ora- a ogni calar del sole per risorgere, nel ruolo di mera scenografia, il mattino seguente. Occorre insomma popolare il patrimonio di “contemporanei”; e per far questo un suo reale uso, che vada ben al di là di funzioni istituzionali, museali o espositive, si rivela un passaggio obbligato. La sfida è quella di demonumentalizzare i monumenti, reinserendoli nel tessuto vivo della società; una sfida che guarda al futuro, ma con un occhio al passato (il plurisecolare riuso delle rovine antiche); e senza naturalmente dimenticare le ragioni e le esigenze della tutela. L’obiettivo è quello di ribaltare la percezione ormai generalizzata di un’Italia giunta al termine della sua storia, incapace di pensarsi se non come passiva depositaria di un passato di inarrivabile perfezione, da sfruttare economicamente o da venerare con sguardo trasognato: al contrario il nostro Paese, sorretto da un rapporto dialettico e maturo con il proprio passato, può dimostrare di far ancora parte di quell’infinita storia, ed anzi di essere in grado di aggiungervi un nuovo, inedito capitolo.