A leggere certe notizie, sembra che in Italia non esistano emergenze “di serie A” o “di serie B”. Le conseguenze dei disastri subiscono infatti sempre lo stesso processo di oblio, per cui luoghi e persone spariscono progressivamente dai giornali e dalle televisioni, fino a cadere nel dimenticatoio collettivo (inutile ostinarsi a parlare di memoria). Immagini e volti sbiadiscono, escono dal nostro campo visivo, e dopo qualche mese si cancellano, come un sogno che svanisce al risveglio. Alzi la mano chi si ricorda del terremoto del 2002 tra il Molise e la Puglia. Una classe di scuola materna fu completamente cancellata per il crollo della scuola a San Giuliano di Puglia. Nella provincia di Campobasso rimasero ferite cento persone, e quasi tremila dovettero lasciare le proprie case. Sono passati nove anni dal tragico evento, e i dati non sono confortanti: «Nelle aree interessate dal terremoto sono stati presentati 1.266 progetti per ricostruire 5.078 unità immobiliari. Ma degli oltre 500 milioni di finanziamento previsti, ne sono arrivati solo 170. In pratica hanno ricevuto una copertura finanziaria solo il 33 per cento dei progetti depositati». Come dimenticare le distese di tende blu allestite dalla Protezione civile. Beh, sono ancora lì: «In tutto il Molise, restano senza una abitazione 884 nuclei familiari. Di questi, 246 sono alloggiati nei prefabbricati». Anche allora ci furono sgravi fiscali, giustamente, per i terremotati. Che furono, secondo il senatore Giuseppe Astore (Italia dei Valori), sospesi con sei mesi di anticipo. Motivo: c’era bisogno di soldi per finanziare l’abolizione dell’Ici. E anche dove i colpevoli ci sono, hanno nomi, cognomi e un volto, non c’è nemmeno la certezza della pena a dare giustizia ai familiari delle vittime. Per il crollo della scuola elementare “Francesco Iovine”, i cinque imputati sono stati tutti dichiarati colpevoli, ma la durata delle condanne è ancora da rivedere. Sono passati nove anni, nessuno ha ancora scontato un giorno di carcere, l’unico sconto è arrivato sulle pene, decurtate dei primi tre anni a causa della legge sull’indulto. E siamo in attesa del varo della norma sulla prescrizione breve che potrebbe cancellarli definitivamente.
Nel frattempo, è di questi giorni l’allarme lanciato dai cittadini de l’Aquila sull’inadeguatezza delle norme sulla tracciabilità finanziaria delle aziende che parteciperanno agli appalti per la ricostruzione pesante della città. Le persone vivono ancora in unità abitative “montate” in fretta e furia dopo il terremoto, mentre i centri storici hanno ancora un aspetto fin troppo simile a quello di due anni fa. E alla rabbia subentra la depressione, gli abitanti non si riconoscono più nei luoghi in cui vivono. Il sindaco Massimo Cialente non gira attorno alla questione: «Se non si adottano misure eccezionali – come è successo nel primo anno, quando il governo ci è stato vicino – si commetterà un omicidio: quello di un’intera comunità. Nei primi mesi, in 65 giorni, siamo riusciti a costruire i Musp, i moduli provvisori ad uso scolastico e ad aggiustare 60 scuole. Poi il nulla». Secondo un’indagine che ha coinvolto diverse università italiane, per il 71% degli aquilani la comunità è morta assieme al terremoto, il 68% vorrebbe lasciare la propria abitazione attuale, e il 43% della popolazioni soffre di stress, una percentuale che arriva al 66% per le donne. Ancora una volta, agli annunci e ai provvedimenti assistenziali non è seguita una strategia di lungo periodo per la ricostruzione dei centri storici e del tessuto sociale. In altre parole, continuiamo a comportarci da Paese di serie B.