Per la prima volta, l’Istat ha condotto un’indagine sui centri contro la violenza sulle donne in Italia. Il quadro che ne esce è di una rete che offre un servizio di altissima qualità, ma che andrebbe supportata con maggiori fondi pubblici e con l’apertura di nuovi centri.
Di più e con più fondi
Rispetto alla legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 (la n. 77 del 2013), che individua come obiettivo avere un centro antiviolenza ogni diecimila abitanti, siamo molto indietro. Con un totale di 281 centri (i dati sono aggiornati al 2017) rispondenti ai requisiti stabiliti dall’Intesa Stato-Regioni-Province autonome del 2014, la quota si ferma a 0,05 centri per 10mila abitanti (cioè circa uno ogni 215mila abitanti). L’altro dato che colpisce è sottolineato da Mariangela Zanni, consigliera di DiRe (Donne in rete contro la violenza): «Nel 2017 i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che – se divisi per il numero delle donne accolte secondo l’Istat – fa meno di 1 euro al giorno, 76 centesimi per la precisione. Una cifra ridicola, che spiega il dato Istat del massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza, nonostante essi siano un tassello imprescindibile del Piano nazionale antiviolenza». Probabilmente anche a causa di questa struttura finanziaria, basata principalmente su fondi pubblici ma con risorse spesso scarse rispetto alle esigenze, i centri antiviolenza fanno ampio ricorso al lavoro volontario. «Le professioniste che operano in queste strutture sono 4.403. Di queste, 1.933 (43,9 per cento) sono retribuite mentre 2.470 (56,1 per cento) risultano impegnate esclusivamente in forma volontaria». Vista la varietà dei profili professionali richiesti per questo tipo di interventi, una maggiore presenza di lavoratori retribuiti potrebbe aumentare le già ampie tipologie di servizi offerti. Attualmente i centri si avvalgono di operatrici di accoglienza (presenti nell’89,3 per cento dei centri), psicologhe (91,7 per cento), avvocate (94,1 per cento), educatrici (50,2 per cento). «Scarsa invece la presenza di mediatrici culturali (28,9 per cento)», fa notare l’Istat. Considerando che il 27 per cento delle 43.467 donne prese in carico nel 2017 erano straniere (e con le tendenze demografiche degli ultimi anni non potranno che aumentare), forse servirebbero più mediatrici culturali.
Elementi di eccellenza
Tra gli elementi di eccellenza dei centri c’è la reperibilità quasi totale. Il 95,3 per cento ha infatti attivato il numero telefonico 1522 per le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. Le sedi sono comunque aperte in media 5 giorni alla settimana per 7 ore al giorno. I centri offrono diversi servizi che comprendono l’accoglienza al supporto psicologico e legale (offerti da quasi tutti i centri). Molti offrono anche un percorso di accompagnamento all’autonomia abitativa (58,1 per cento) e lavorativa (79,1 per cento) e in generale verso l’autonomia (82,6 per cento). «Meno diffusi, il servizio di sostegno alla genitorialità (62,5 per cento), quello di supporto ai figli minori (49,8 per cento) e quello di mediazione linguistica (48,6 per cento). L’82,2 per cento dei Centri effettua la valutazione del rischio di recidiva della violenza sulla donna». «La formazione è uno degli aspetti qualificanti dei Centri antiviolenza: più di nove su dieci hanno svolto una formazione obbligatoria per le operatrici sulla tematica di genere. Tra i temi specifici affrontati i più frequenti sono la Convenzione di Istanbul (81,2 per cento dei Centri ha offerto corsi sul tema), i diritti umani delle donne (64 per cento), l’accoglienza delle donne migranti (51,3 per cento). Minore invece la quota di Centri che hanno trattato l’accoglienza delle donne con disabilità nei loro corsi (15,2 per cento)». Importante anche l’attività di informazione, sensibilizzazione e prevenzione. «Nel 2017, l’81 per cento ha organizzato formazione all’esterno, soprattutto verso gli operatori sociali e sanitari, ma anche verso le forze dell’ordine e gli avvocati, e il 91,7 per cento ha svolto attività d’informazione presso le scuole».
(Foto di Mattia Camellini su flickr)