Capire come si formano le nostre certezze è un obiettivo che agita la scienza cognitiva da decenni. Si tratta di un aspetto che ha un impatto molto importante sulle nostre vite, e di cui spesso non abbiamo una percezione accurata. Un gruppo di ricerca delle università di Rochester e Berkeley ha provato a capirci qualcosa in più. In particolare, si voleva indagare il ruolo che ogni feedback ha sull’elaborazione di un nuovo concetto. Inoltre, si cercava di capire se il nostro senso di certezza su ciò che stiamo apprendendo sia basato maggiormente su una valutazione sommaria della nostra esperienza o sulla progressiva elaborazione di un modello astratto.
Nei diversi esperimenti realizzati si chiedeva ai partecipanti di riconoscere delle figure geometriche, dovendo definire se si trattasse o meno di un “Daxxy”. Che non è ovviamente un nuovo poligono, bensì un’invenzione dei ricercatori, che in questo modo provavano a determinare come si formasse nelle persone la certezza di aver capito che cos’è un Daxxy, e quindi di poterlo riconoscere. I primi due esperimenti si differenziavano perché solo il primo forniva un feedback immediato al partecipante. Man mano che rispondeva, questi si faceva un’idea su cosa rientrasse o meno nella definizione di Daxxy, e quindi modellava le sue risposte seguenti in tal senso. Nel secondo, invece, ogni domanda era indipendente e non era richiesto uno sforzo di memoria per ricordare i feedback accumulati man mano.

Al di là delle variazioni nell’accuratezza dei risultati, il senso di certezza nel dare le risposte è stato alto in entrambi i casi. Il solo fatto di continuare a interrogarsi e dare risposte sulle figure geometriche presentate creava la convinzione di avere in testa un modello astratto sempre più preciso. Il terzo esperimento era simile al primo, ma cambiava il tono della domanda di conferma. Non si chiedeva più “Sei sicuro di sapere cos’è un Daxxy?”, ma “Sei sicuro della tua risposta?”. Questo per capire se il riferimento diretto a un modello astratto potesse avere un impatto sulla precisione e sul livello di sicurezza dei partecipanti. I risultati di quest’ultimo test, comunque, non sono stati molto diversi dal primo.
Nonostante la procedura seguita possa sembrare piuttosto bizzarra ai non addetti ai lavori, alla base della ricerca ci sono domande molto concrete. «Mentre la nostra sicurezza può essere un’ottima guida nelle nostre decisioni percettive, come cercare di capire la posizione di un amico che chiede aiuto in mezzo a una foresta, può essere fuorviante in settori di più alto livello, come per esempio quando dobbiamo decidere se farci visitare da un chiropratico o da un medico».
L’intento dell’esperimento è dunque capire come si formano nella nostra mente i nuovi concetti e le relative certezze che vi associamo. Siamo portati a ragionare in maniera logica e razionale, aspettando di avere una quantità sufficiente di dati prima di dichiararci certi di qualcosa, oppure tendiamo a farci un’idea immediata e approssimativa, per poi attaccarci a quella? Le conclusioni dello studio mostrano che siamo molto più portati a farci un’idea secondo i dati recenti (in questo caso la valutazione di una serie di domande a cui abbiamo appena risposto), piuttosto che a fidarci di elementi concreti da cui derivare regole e modelli. La certezza di sapere o aver capito qualcosa deriva quindi molto più da ciò che il contesto ci restituisce, piuttosto che da un’attenta valutazione dei dati. «Questi risultati – concludono i ricercatori – forniscono un’idea controintuitiva sul perché gli esseri umani diventano certi di qualcosa. La certezza di un concetto astratto e nascosto non sembra essere determinata dagli stessi meccanismi che guidano l’apprendimento».
Allargare queste conclusioni ad altri contesti e usarle per generalizzare certe dinamiche che si verificano tra gruppi sociali può essere rischioso. L’obiettivo della ricerca era rivelare i meccanismi di apprendimento in un contesto ben preciso, che prescinde da questioni come la pressione sociale o il senso di appartenenza al gruppo di cui fa parte il soggetto che ci dà il feedback. Di certo, però, è interessante sapere che anche in un contesto neutro, come può essere il riconoscimento di un Daxxy, la tendenza umana sia a farsi un’idea in pochi istanti e a sentirsi molto sicuri di essa. Al contrario, ammettere l’incertezza e favorire un apprendimento più lento ed elaborato richiede più fatica, e quindi tendiamo a evitarlo.
(Foto di Ash Edmonds su Unsplash)