Da questione latente a priorità, per finire in un pasticcio. La questione dei debiti verso fornitori della pubblica amministrazione sta seguendo quello che è ormai un copione ben noto nelle vicende italiane. Si ignora un problema (o meglio, si evita di portare all’attenzione pubblica la sua impellenza) finché non è più procrastinabile, poi ci si agita promettendo una soluzione in tempi rapidissimi, finché non emergono le difficoltà che la semplificazione tipica dell’annuncio aveva lasciato in secondo piano, e arriva lo stallo. L’Abi ha aggiornato le stime del debito, calcolato ora in oltre 100 miliardi di euro, ma dall’Europa ci arrivano segnali (e moniti) discordanti: pagate, ma occhio al deficit. L’Italia è sotto procedura di infrazione per eccesso di deficit: il rapporto tra quest’ultimo e il pil in un anno deve infatti stare sotto al 3 per cento, e attualmente il nostro Paese è attorno al 2,9 per cento. D’altra parte il commissario europeo Antonio Tajani è convinto che «L’80 per cento del debito si potrebbe pagare subito senza alcuna remora». L’importante è che il restante 20 per cento sia «messo a deficit, perché ancora non fa parte del debito».

Il testo attualmente in lavorazione pare sbloccherà per il momento solo 40 miliardi, che saranno pagati per metà quest’anno e per il restante nel 2014. Ma le modalità di erogazione non sono un tema secondario, soprattutto se si vuole che il provvedimento abbia un effetto anche per il medio lungo periodo: man mano che sono liquidati questi 100 miliardi, deve mettersi in moto un meccanismo che permetta allo Stato di ripagare normalmente, e in tempi civili, i debiti che contrae. Altrimenti è la solita medicina una tantum che non aiuta il malato a guarire. Come si legge nel sito lavoce.info, «Nel varare la manovra, il governo dovrebbe quindi domandarsi perché i debiti commerciali si siano formati in passato e come evitare che si riformino in futuro. In parte, i debiti dipendono da regole assurde imposte agli enti territoriali (quali il doppio vincolo su cassa e competenza per gli enti locali dei patti di stabilità interna), che devono essere rimosse. In parte, però, dipendono da regole contabili poco trasparenti, soprattutto nel caso delle Regioni, che applicano ancora una forma di “federalismo contabile” che rende illeggibili e non confrontabili i loro bilanci, oltreché da scarsi controlli che hanno consentito il formarsi di impegni di spesa fuori bilancio e dall’assenza di sanzioni efficaci. Su tutto questo esiste già un’imponente produzione legislativa: basta cominciare ad applicare le leggi. Infine, lo Stato dovrebbe sviluppare e rafforzare forme di amministrazione controllata nei confronti degli enti locali che avessero più difficoltà ad avviare un’operazione di pulizia contabile, senza limitarsi, così come fa adesso, a intervenire solo ex post, in presenza di situazioni di conclamata bancarotta».