Tra gli impegni dichiarati dal secondo governo Conte è stato menzionato da subito, e con forza, il tema ambientale. Il primo atto concreto in quest’ambito ha però trovato l’ostacolo più difficile: la mancanza di coperture. Gli economisti Alessandro Lanza e Marzio Galeotti, su Lavoce.info, esprimono alcuni commenti sulla misura. Nonostante il provvedimento sia fermo e ben lontano dal poter essere approvato, si tratta comunque di una buona occasione per valutare la “visione” di questo governo sul tema dell’emergenza climatica. Vediamo di seguito i passaggi principali del loro articolo.

Un testo scritto di fretta?

«Il decreto è un coacervo di misure tutte accomunate dal tema della salvaguardia dell’ambiente, ma che non riguardano esclusivamente i cambiamenti del clima – tema di cui oggi si parla più che mai. Sono infatti comprese misure di contrasto all’inquinamento dell’aria, misure per favorire l’economia circolare contenendo il packaging e gli imballaggi, azioni per il rimboschimento, l’istituzione di parchi nazionali, e misure relative ai rifiuti.

Sia ben chiaro: sono tutte misure sul cui merito non ci si può che dire favorevoli. E sono tutti temi importanti, importantissimi. Resta tuttavia l’impressione che si sia voluto mettere troppo e tutto insieme. E che la fretta non sia stata buona consigliera, laddove i molti incentivi previsti rimandano immediatamente alle problematiche condizioni della nostra finanza pubblica, a pochi giorni dal varo della legge di bilancio. E dove il taglio di sussidi fa subito pensare alle conseguenze economiche e sociali delle categorie produttive colpite».

Incentivi

L’articolo 1 comma 2 è una riedizione dei numerosi decreti e provvedimenti sulla rottamazione, dedicata in questo caso ad autovetture omologate fino alla classe Euro 4. Questa volta però sembra una rottamazione selettiva, riservata cioè ai cittadini che risiedono nelle città metropolitane nelle zone interessate dalle procedure di infrazione comunitaria del 2014 e 2015 dovute alla non ottemperanza dell’Italia agli obblighi previsti dalla direttiva europea sulla qualità? dell’aria. Non a tutti i cittadini dunque, ma solo ad alcuni, e sulla costituzionalità della norma è lecito nutrire dei dubbi. Ma a parte ciò, quello che si otterrebbe in cambio della rottamazione non sarebbe un incentivo (un sussidio) all’acquisto di un’auto Euro > 4, bensì 2 mila euro da spendersi in cinque anni “ai fini dell’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale e di altri servizi ad esso integrativi, inclusi i servizi di sharing mobility con veicoli elettrici o a zero emissioni, anche in favore dei familiari conviventi”.

Secondo i dati dell’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae), al 30 giugno 2018 circolava, sulle strade italiane, il 34,1 per cento di mezzi con vecchie omologazioni Euro 0 (4 per cento), Euro 1 (5,5 per cento), Euro 2 (9,9 per cento), Euro 3 (14,7 per cento). Le Euro 4 erano il 27,7 per cento del totale (figura 1). Il provvedimento del ministro riguarda dunque oltre il 60 per cento del parco circolante. Sono vetture già messe nel mirino da molte amministrazioni comunali negli anni scorsi, soprattutto se a motorizzazione diesel. Gli aspetti di regressività del provvedimento sono evidenti. È difficile infatti che un medico a Torino, un avvocato a Milano o un commercialista a Roma si spostino ancora con una vettura pre-Euro 4. Se l’intervento ci deve essere – e chi scrive è favorevole – è necessario prestare attenzione a questi aspetti: dunque, sia assai più generoso e aiuti l’ammodernamento del parco auto. L’idea che si rottami una vettura, magari funzionante, per aver in cambio 5 anni di abbonamento ai mezzi pubblici appare stravagante, se non velleitaria.

Sussidi

L’articolo 6 affronta il tema della riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi. Recita: “A partire dall’anno 2020, le spese fiscali dannose per l’ambiente indicate nel Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi istituito presso il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare […] sono ridotte nella misura almeno pari al 10 per cento annuo a partire dal 2020 sino al loro progressivo annullamento entro il 2040”. Il catalogo citato nel decreto è documento complesso, completo e ben fatto, che è davvero impossibile riassumere compiutamente in questa sede. Può essere utile però chiedersi chi benefici ora dei sussidi esistenti. Il 60 per cento sono racchiusi in poche categorie tutte connesse al comparto energia, dove la parte preponderante sta nel differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio (4,9 miliardi), cui vanno aggiunti gli sconti sul gasolio per l’autotrasporto (1,2 miliardi), sconti sui consumi energetici in agricoltura (0,8 miliardi), la detassazione delle auto aziendali (1,2 miliardi), l’esenzione dall’accisa per il jet fuel (1,6 miliardi), l’aliquota Iva agevolata sui consumi energetici di famiglie (1,6 miliardi) e imprese (1,4 miliardi).

Toccare questi sussidi è materia molto complessa e delicata: basta ricordare che il movimento dei gilet gialli francesi è nato proprio per l’incremento del prezzo dei carburanti. Senza compensazioni adeguate e senza informazione e condivisione, si rischia, come in quel caso, il boomerang. Si tratterebbe di incrementare l’accisa sul gasolio dagli attuali 617,40 a 728,40 euro per mille litri, parificandola a quella per la benzina con un incremento pari al 18 per cento. Senza considerare il necessario coordinamento tra ministeri Ambiente, Trasporti, Agricoltura che – dicono le cronache – pare non sia stato esemplare.

E visto che l’attenzione dovrebbe ricadere soprattutto sul cambiamento climatico, la parità dei prezzi tra benzina e gasolio dovrebbe essere esaminata con maggiore attenzione. Il trattamento fiscale preferenziale del gasolio rispetto alla benzina contribuisce certamente al grave problema dell’inquinamento atmosferico da Pm, ossidi di azoto e ozono, con sforamento dei limiti previsti dalle direttive europee sulla qualità dell’aria e procedura di infrazione. Tuttavia, in termini di consumi energetici e di emissioni di CO2, il parco circolante a benzina presenta costi esterni più elevati rispetto al diesel».

(Foto di Robin Sommer su Unsplash)