“Ci siamo liberati dei grandi apparati di senso che dirigevano le nostre vite per affidarci a noi stessi o alla contingenza di voci prive di autorevolezza”, scrive Gabriele Drago parlando di informazione, democrazia e crisi della mediazione. Un estratto del suo articolo per il Tascabile.

Fino a qualche decennio fa non era necessario che un singolo individuo sostenesse una grande quantità di informazioni per farsi un’idea. La possibilità di comprendere era affidata a persone qualificate che filtravano le nozioni da trasferire nei circoli istituzionali del partito, della chiesa, del sindacato. Ci si raccomandava alla competenza del professore, del vescovo, dello scienziato, dell’intellettuale, che formavano classi dirigenti capaci di raccogliere le necessità della comunità, analizzare cause e conseguenze, fornire prospettive nel lungo termine, promuovere cambiamenti e perfino rivoluzioni.

Nel bene o nel male, la formazione delle opinioni non faceva capo solo a grandi interessi politico-economici, ma spesso era legata a giornali indipendenti, sostenuti soprattutto dai lettori che si riconoscevano attorno a una visione di mondo costruita con gli strumenti della cultura, del confronto e del ragionamento. A ciò si aggiungeva la presenza del cosiddetto “terzo posto”, come i caffè, i circoli, le sezioni, le piazze, che dopo la casa e il lavoro diventavano spazi di aggregazione e di confronto reale e che dall’Illuminismo agli anni Novanta del Novecento avevano dato vita a movimenti culturali impetuosi e capaci di eleggere rappresentanze in grado di incidere sulla realtà.

Sebbene la trasmissione verticale del sapere non raffiguri il migliore dei mondi possibili, soprattutto perché l’accesso alla conoscenza e alle informazioni era spesso prerogativa della borghesia, mentre le classi meno abbienti e le donne erano quasi del tutto escluse anche dal dibattito, è comunque  utile riferirsi a un modello gerarchico di organizzazione e trasmissione delle informazioni, non per rivalutarlo nostalgicamente, ma per riflettere sulla formazione dell’opinione pubblica nel contesto di una rappresentanza in grado di interpretare la realtà, restituendone una immagine complessa e per mettere in luce le implicazioni politiche tra informazione e democrazia, in un mondo dove la presa di parola del singolo non è più fondata sull’argomento, sulla ragione, sul confronto e sulla partecipazione, ma piuttosto sulla reazione immediata e solitaria a contenuti personalizzati, dentro piattaforme private che impediscono la costruzione di un sapere competente e democratico.

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(Foto di Nik su Unsplash)

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