Da mercoledì primo agosto è in vigore in Francia la tassa sulle transazioni finanziarie, ossia la versione francese della Tobin Tax. A essere colpite con un prelievo dello 0,1 per cento (ma presto sarà elevato allo 0,2) le operazioni di acquisto di titoli emessi da 109 società (quelle con capitalizzazione superiore al miliardo di euro) con sede in Francia. L’intenzione di Parigi è di portare nelle casse dello Stato un miliardo e mezzo di euro all’anno: un modo per colpire le transazioni a scopo speculativo, andando a pesare sui veri protagonisti delle operazioni di mercato che gettano le basi per le crisi.

Molti commenti si soffermano sul fatto che la Tobin Tax non è la soluzione ai problemi di liquidità francesi, puntando l’attenzione sulla necessità di tagli alla spesa pubblica. E infatti non è per fare cassa che è stata pensata (e da qualche giorno applicata) la tassa, bensì per colpire al cuore la minaccia speculativa. C’è chi teme inoltre una fuga di capitali dalla Francia, in quanto gli operatori sarebbero già pronti a spostare i capitali verso altri Paesi in cui le transazioni non sono tassate. In questo modo non si considera una realtà in cui una norma simile ottiene successi da secoli: «Il Regno Unito con la Duty Stamp Tax, che da anni consente di raccogliere 4-5 miliardi di sterline all’anno -spiega Leonardo Becchetti sul suo blog-, ha perseguito lucidamente un triplice obiettivo: stabilizzare il mercato azionario interno, spostare gli speculatori su altri mercati ad hoc come quello in cui scommettere sulle differenze di prezzo senza acquistare i titoli e, infine, lasciare senza tassazione la zona franca del casinò della finanza derivata».

Paradossalmente -ma non tanto conoscendo gli inglesi-, da Londra (come da New York) non c’è grande entusiasmo per l’iniziativa francese, al contrario di Roma e Berlino. E in effetti se ne parla da un po’ nella Comunità, come avrà notato chi segue da tempo i nostri post. Ma allora cosa aspetta l’Italia ad agire? Di vedere il risultato, per poi decidere. Ma se si è convinti della bontà di un provvedimento non sarebbe opportuno andare avanti e adottarlo? Sembra che in Italia sia ancora impossibile andare a toccare certi interessi, come dimostrano norme quali il fallimentare scudo fiscale (che ha difeso più gli evasori che le casse dello Stato), o grandi assenti come la tassa patrimoniale annunciata e poi mai approvata dall’attuale governo. Tra l’altro la tassa sulle transazioni finanziarie ha effetti virtuosi crescenti quanti più Stati l’adottano, perché vanifica la contromossa di sottrarre capitali alle economie, che determinerebbe effetti recessivi.

Le simulazioni dell’Unione europea (l’Italia ne fa parte, giusto?), che propone la tassazione di tutte le attività finanziarie, parlano di un gettito, al netto di evasione ed elusione, di quasi 55 miliardi di euro, di cui cinque solo per l’Italia. «In realtà -prosegue Becchetti- l’effetto complessivo potrebbe essere significativamente espansivo per diversi motivi. Primo, le simulazioni sono state condotte sotto l’ipotesi che tutte le imprese finanzino i loro investimenti attraverso aumenti di capitale in borsa. Secondo, si è assunto che l’effetto delle somme raccolte sul Pil sarebbe stato nullo. Terzo, non si è attribuita alcuna probabilità, seppur piccola, all’eventualità che l’introduzione della tassa riduca le possibilità di nuove crisi finanziarie». Vedremo che effetti avrà in Francia questo periodo di prova, anche se ci sarebbe piaciuto essere meno spettatori e più protagonisti di questo promettente cambiamento.

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