«Il Consiglio ha valutato approfonditamente, grazie alle relazioni dei Ministri dell’interno e degli affari esteri, la possibilità di consentire agli studenti Erasmus la partecipazione al voto dall’estero per le prossime elezioni politiche, come auspicato in precedenza. La discussione ha posto in evidenza delle difficoltà insuperabili: anzitutto di tempo e di praticabilità e, soprattutto, di costituzionalità nel selezionare unicamente gli studenti Erasmus -escludendo tutti gli altri soggetti che si trovano all’estero per ragioni di studio, ma senza una borsa Erasmus- come nuova categoria di elettori temporanei. La discrezionalità di scelta che eserciterebbe il Consiglio con questa decisione contrasta con i principi di partecipazione democratica, eguaglianza ed effettività del diritto di voto previsti dalla Costituzione. Il Consiglio ha auspicato che la prossima riforma elettorale tenga in debita considerazione le esigenze dei giovani temporaneamente all’estero per ragioni di studio e di lavoro».

Questo il testo del comunicato stampa diffuso ieri da Palazzo Chigi per motivare la decisione di non dare ai 26mila studenti Erasmus la possibilità di votare dal loro luogo di studi. Si sa, con l’anticipo delle elezioni l’attività di governo si è fatta più complicata, i tempi si sono ristretti, le priorità sono cambiate. E poi appunto si sarebbe operata una discriminazione tra Erasmus e non Erasmus. Tutto vero, tutto plausibile, da una certa prospettiva. Ma è proprio questa che va cambiata. Innanzitutto: perché non pensarci prima? Sappiamo bene l’immenso patrimonio per il futuro rappresentato dai giovani che decidono di fare un’esperienza di studio e di vita all’estero (tra l’altro il progetto ha rischiato di non essere rifinanziato, ne abbiamo parlato qui). Soprattutto parlando dell’Italia, Paese sempre più vecchio, che dovrebbe tenere in altissima considerazione il voto dell’elettorato più giovane, e anzi modificare le proprie leggi in modo da includerlo maggiormente nella vita politica.Peraltro noi saremmo per non operare alcuna distinzione tra chi usufruisce di una borsa Erasmus e chi no: diamo la possibilità di votare a tutti.

In questo infatti siamo fuori dall’Europa, in quanto uno tra gli ultimi Paesi a non permettere il voto per corrispondenza a chi risiede all’estero per studio o per lavoro. Secondo le leggi in vigore il voto all’estero è possibile solo per «gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali; i dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio e i professori e ricercatori universitari». Questi ultimi solo se «titolari di incarichi e contratti […] che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non più di dodici mesi che, alla data del decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all’estero da almeno tre mesi». Non è una scelta discrezionale questa? È proprio possibile che il Paese che ha fatto del televoto (letteralmente “voto a distanza”) un elemento distintivo dell’interazione tra cittadini e televisione non sia in grado di dotarsi delle leggi e degli strumenti per fare in modo che tale interazione avvenga a un livello più alto, ossia tra cittadini (ovunque essi si trovino) e politica? I modelli esistono già, basta fare un’operazione banale quanto essenziale: copiare.