Gli ultimi dati disponibili confermano che i casi di HIV rilevati in Italia hanno continuato a diminuire, come accade dal 2012. Al contempo, nel 2020 e 2021 (di cui sono da poco disponibili le statistiche), sono aumentate le diagnosi tardive.

Come riporta l’ultimo Notiziario dell’Istituto superiore di sanità (ISS), «Nel 2021 più di un terzo delle persone con nuova diagnosi HIV scopre di essere HIV positivo a causa della presenza di sintomi o patologie correlate all’HIV. […] Nel 2021 aumenta la proporzione di persone con nuova diagnosi di AIDS che scopre di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS».

L’incidenza di HIV in Italia (3 casi ogni 100mila residenti) resta leggermente più bassa rispetto alla media dell’Unione europea (4,3 casi ogni 100mila residenti). Rispetto però alla percentuale di late presenters, ossia di nuove diagnosi di infezione da HIV in stadio già avanzato rispetto al totale, l’Italia fa peggio della media europea: nel 62,2 per cento dei casi la diagnosi è tardiva, contro il 55,5 per cento dell’UE.

Il dato è stato confermato dal ministro per la Salute, Orazio Schillaci, nella sua relazione per il Parlamento di inizio anno. «In Italia – ha spiegato Schillaci –, la pandemia di Covid-19 ha comportato un forte impatto sul sistema sanitario in generale e in particolare sul settore delle malattie infettive. Dai dati dell’Iss-Coa si evince che, nel 2020, si è osservato un calo delle nuove diagnosi HIV (circa il 56 per cento rispetto ai tre anni precedenti). Le limitazioni dovute al Sars-CoV-2 e la paura delle persone di accedere ai servizi sanitari nel primo periodo dell’emergenza pandemica hanno, probabilmente, comportato un ritardo nella diagnosi dell’infezione da HIV».

Interessante osservare che, al di là dello stigma di cui è ancora avvolta la malattia, spesso associata all’omosessualità, la trasmissione avviene più spesso tra persone eterosessuali. Sommando infatti le percentuali di uomini (27,2 per cento) e donne (16,8 per cento) eterosessuali, si nota che queste ammontano al 44 per cento del totale, mentre la seconda modalità di trasmissione più diffusa, il sesso tra uomini, rappresenta il 39,5 per cento del totale. Come si può vedere, resta il fatto che la malattia colpisce prevalentemente gli uomini.

Nonostante decenni di campagne e progressi nel trattamento della malattia (per cui non c’è una cura, ma con la quale oggi è possibile convivere grazie a trattamenti farmacologici che ne fanno regredire i sintomi e impediscono la trasmissione), il problema essenziale resta la prevenzione. Secondo Filippo Nimbi, docente di sessuologia all’Università Sapienza intervistato da Atlante, l’88 per cento dei casi di trasmissione è attribuibile a rapporti sessuali non protetti. Vuol dire che quasi 9 casi su 10 tra quelli rilevati sarebbero evitabili se solo le persone coinvolte usassero il preservativo. Le campagne di comunicazione e di screening rappresentano il motivo per cui ci si sottopone al test solo nel 6 per cento dei casi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi il test avviene a seguito dell’insorgenza di sintomi (39,8 per cento dei casi nel 2021).

Vale la pena ricordare che il sangue donato all’Avis o presso altre associazioni viene testato contro l’HIV prima di essere immesso nel sistema trasfusionale, il che rappresenta una garanzia di sicurezza e monitoraggio costante sia per i pazienti che per i donatori e donatrici. Per trovare un caso di infezione avvenuto tramite trasfusione di sangue o emocomponenti bisogna risalire al biennio 2016-17. Da allora nessun altro caso è stato rilevato.

Rispetto all’esperienza della pandemia per le persone con HIV, si legge ancora su Atlante, «Nimbi ha condotto con lo psichiatra Vittorio Lingiardi e l’attivista recentemente scomparso Giulio Maria Corbelli una ricerca non ancora pubblicata, da cui emerge che “durante il primo lockdown, come altri pazienti cronici, le persone con HIV non hanno potuto accedere alle visite mediche; inoltre i farmaci sono stati dirottati inizialmente per la sperimentazione contro il Covid e sono risultati irreperibili. Le misure anti contagio, nelle persone già emarginate, hanno amplificato sofferenza e isolamento”. E conclude: “Parlare di HIV oggi significa necessariamente parlare di inclusione, di apertura e di comprensione. Sentirsi orgogliosi della propria identità sessuale e ricevere il supporto sociale di una comunità può aiutare le persone con HIV a fronteggiare gli effetti negativi dello stigma”».

(Foto di Anna Shvets su Pexels)

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