computerCome annunciato ieri in conferenza stampa, sarà presentato oggi alla Camera per l’approvazione il testo della Dichiarazione dei diritti in internet. La bozza del documento, redatta da un’apposita commissione, è disponibile qui. Al suo interno 14 articoli che definiscono i principi ai quali si dovrebbe attenere la rete delle reti, dal punto di vista dell’utente, dei fornitori di servizi e delle istituzioni. Come spesso accade in questo tipo di testi, che l’Italia è particolarmente abile nel produrre, si elenca una serie di concetti e principi che definiscono un perimetro formalmente ineccepibile sui caratteri che il web dovrebbe racchiudere, ma è difficile capire quali possano essere le ricadute sostanziali di tali proposizioni.

L’iniziativa dell’Italia non è isolata e segue alcune azioni già messe in atto in Europa e nel resto del mondo. In particolare, secondo la ricostruzione dell’Ansa, l’idea segue «l’approvazione in Brasile della legge cosiddetta “Marco civil” nell’aprile 2014, le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’8 aprile (Google-Spain) e del 13 maggio 2014 (Digital rights Ireland), la raccomandazione del Consiglio d’Europa anch’essa del 16 aprile 2014 (sulla protezione dei diritti umani su Internet) e la sentenza della Corte Suprema Usa del 25 giugno 2014 (sulla privacy relativa ai telefoni cellulari)». La prima bozza del documento è stata varata l’8 ottobre 2014. Essa è poi stata sottoposta «all’attenzione dei partecipanti alla riunione dei Parlamenti dei Paesi membri dell’Unione europea e del Parlamento europeo sui diritti fondamentali che si è tenuta presso la Camera il 13 e il 14 ottobre 2014 nel corso del Semestre di presidenza dell’Unione europea. Il testo è stato poi sottoposto a una consultazione pubblica (dal 27 ottobre 2014 al 31 marzo 2015) per assicurare la partecipazione più larga possibile all’individuazione dei principi in esso contenuti. All’esito della consultazione pubblica e di un ciclo di audizioni di associazioni, esperti e soggetti istituzionali, i principi sono stati rielaborati e trasfusi in un nuovo testo della Carta dei diritti».

Nonostante l’ampio processo che ha portato alla sua elaborazione, resta il fatto che non è chiaro se i principi elencati debbano essere considerati un elenco teorico di un “internet ideale” oppure se al testo seguiranno provvedimenti collegati che assicurerino la loro applicazione. Il passaggio peraltro non è semplice nemmeno a livello di speculazione teorica, dato che alcuni concetti non hanno contorni ben definiti e non è chiaro quindi come farli rispettare. Iniziamo dal diritto di accesso (articolo 2): «Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. […] L’effettiva tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per il superamento di ogni forma di divario digitale». Già nel secondo articolo compare la parola “sostanziale”, il che presuppone l’esistenza (o la volontà di approvare) ulteriori norme che rendano reale la condizione di parità di accesso alla rete. Cosa si intende esattamente? Dobbiamo aspettarci internet gratis e superveloce per tutti? Realizzata l’infrastruttura, avremo tutti a disposizione dispositivi in grado di collegarsi alla rete «con modalità tecnologicamente adeguate»? Queste modalità cambiano continuamente, assieme all’innovazione. Come si starà, eventualmente, al passo coi tempi? Bisogna forse pensare a una parità di accesso in forma blanda, intesa come possibilità di scegliere tra più operatori quello più conveniente, con possibilità di cambiare fornitore senza penalizzazioni, ossia il regime di concorrenza già applicato (e spesso aggirato) nel mercato delle compagnie telefoniche?

C’è poi la questione del diritto all’oblio (articolo 10): «Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza». Com’è noto, il principio è riconducibile soprattutto alla possibilità per gli utenti di chiedere a Google, Yahoo, ecc. di rimuovere informazioni “non più rilevanti” che li riguardino dai risultati delle ricerche. Su questo ha posto una questione Luca Sofri, a cui nessuno sembra preoccuparsi di rispondere: «È ovvio immaginare che qualunque articolo contestato contenga molte e diverse informazioni. Diciamo che io in quel processo di tanti anni fa fui assolto, e a nessuno interessa di me, e non voglio che se ne sappia […] La conseguenza sarà che qualunque giornalista, studioso, interessato, non troverà più l’articolo sul processo – che raccontava molte altre cose rilevanti –, né la descrizione dell’acquario e delle sue vicende in una guida turistica, né la pagina delle lettere al giornale di quel giorno».

L’articolo 4 riguarda uno degli aspetti più controversi della rete, la tutela dei dati personali: «Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza. I dati personali sono quelli che consentono di risalire all’identità di una persona e comprendono anche i dati identificativi dei dispositivi e le loro ulteriori elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili. […] I dati possono essere raccolti e trattati solo con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge». Il principio sembra collegato alla Cookie law, di cui abbiamo parlato recentemente su ZeroNegativo. Ripetiamo qui il dubbio che ci assaliva allora: basta un banner (che probabilmente tutti ignorano) a tutelare l’utente? La gestione dei dati degli utenti è un business enorme per tutte le aziende che si occupano di profilazione. Cosa può fare lo Stato italiano per difendere chi naviga? Quest’ultimo è consapevole dei dati che diffonde a vari soggetti economici semplicemente navigando ed esprimendo preferenze? In generale, leggendo un testo che sembra chiaramente fotografare l’esistente (o definire l’“internet ideale”) piuttosto che introdurre concetti nuovi, ci chiediamo a chi si rivolga e chi tuteli. Il documento cerca di definire uno spazio, quello della rete, che per sua stessa natura rifugge alle classificazioni giuridiche alle quali siamo abituati. Il rischio è che, più che tutelare diritti, esso cada nell’oblio.