Le regioni italiane stanno usando meno dosi del previsto del vaccino contro il COVID-19 di AstraZeneca. Alla base ci sono diverse motivazioni, principalmente legate alla sua disponibilità e a difficoltà organizzative nella distribuzione, oltre al fatto che l’autorizzazione alla sua somministrazione a persone sopra i 65 anni è arrivata solo pochi giorni fa.
Ma, come mostra il grafico qui sotto, c’è una certa sproporzione tra le dosi di vaccini AstraZeneca consegnate in Italia e quelle somministrate. Con tutte le difficoltà del caso, si potrebbe andare a ritmi molto più sostenuti.
Il vaccino dell’azienda anglo-svedese ha avuto una vita travagliata fin dalla fase di autorizzazione, ma le cose piano piano sono andate migliorando. Il vaccino di AstraZeneca offre anche dei vantaggi rispetto a quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna: «Può essere conservato in frigorifero e non in potenti congelatori – spiega il Post – e soprattutto prevede tempi più lunghi tra la somministrazione della prima e della seconda dose». Tra le ipotesi di questi ritardi c’è la diffidenza di molte persone rispetto a questo vaccino, in parte in merito alla sua sicurezza, in parte alla sua efficacia.
Sulla prima, come detto, le verifiche effettuate hanno portato a una sua piena autorizzazione, quindi non c’è motivo di dubitare. Sulla seconda, la diffidenza è dovuta probabilmente al modo sbagliato con cui si tende a interpretare il dato sulla sua efficacia. In particolare, in una delle FAQ pubblicate dall’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) si legge che: «L’efficacia vaccinale di COVID-19 Vaccine AstraZeneca è risultata pari al 59,5% nel prevenire la malattia sintomatica». Proseguendo, c’è però scritto che «Nei partecipanti che hanno avuto la seconda dose dopo 12 settimane dalla prima, l’efficacia dopo 14 giorni dalla seconda dose, è stata dell’82,4%, […]. In tutti i partecipanti che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, a partire da 22 giorni dopo la prima dose non si sono osservati casi di ospedalizzazione».
Se ci si sofferma sull’efficacia nel “prevenire la malattia sintomatica”, dunque, si può pensare che il vaccino non sia particolarmente efficace. Ma sono molto più importanti i dati successivi, che ci dicono che nessuna delle persone testate ha sviluppato una forma grave della malattia. Un altro studio effettuato su un campione di partecipanti molto grande ha dato risultati ancora più evidenti, che mostrano come il vaccino di AstraZeneca potrebbe addirittura essere più “efficace “di quello di Pfizer-BioNTech: «Uno studio condotto dall’università di Edimburgo, in Scozia, ha preso in esame i dati raccolti tra l’8 dicembre 2020 e il 15 febbraio di quest’anno, periodo in cui sono stati somministrati 1,14 milioni di dosi di vaccino: 650mila persone hanno ricevuto il vaccino di Pfizer-BioNTech, mentre le altre 490mila quello di AstraZeneca. I risultati dello studio mostrano che a quattro settimane dalla somministrazione della prima dose, il vaccino di AstraZeneca ha portato a una riduzione dei ricoveri fino al 94 per cento, mentre il vaccino di Pfizer-BioNTech fino all’85 per cento».
Il dato importante, per misurare la capacità di un vaccino di proteggerci da una malattia, è capire quanto la renda “sostanzialmente innocua”. Se si viene vaccinati contro il COVID-19 e poi si entra in contatto con il virus, non si sarà totalmente “schermati” da quest’ultimo. Semplicemente, rispetto a una persona non vaccinata, il nostro organismo avrà già le istruzioni necessarie a riconoscere il virus e produrre gli anticorpi specifici che possono sconfiggerlo. Potranno quindi anche esserci dei sintomi, più o meno lievi, ma la possibilità di avere conseguenze gravi si riduce quasi a zero. Su questo, non c’è sostanziale differenza tra tutti i vaccini attualmente autorizzati in Europa e negli Stati Uniti, e non c’è quindi motivo di essere diffidenti. Anzi, ogni giorno che passa in cui le dosi restano nei magazzini è un’occasione persa di salvare migliaia di vite. Sulla logistica le responsabilità sono della politica, ed è giusto pretendere un netto miglioramento nelle prossime settimane. Però rifiutare un vaccino per futili motivi è un atto grave che ha conseguenze sulla salute di tutti. E una parte di responsabilità va anche a chi pubblica, comunica e spiega questi dati, dalle autorità pubbliche a quelle sanitarie e fino ai media.
(Foto di torstensimon su Pixabay)
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