Il risultato del referendum di domenica 4 dicembre, se non altro, ha fatto un po’ di pulizia. Le nostre conversazioni, letture e interazioni sui social network non saranno più imbrattate di ragionamenti e ipotesi su complicati meccanismi di diritto costituzionale dei quali pochi possono dire (onestamente) di aver capito qualcosa. Restano i dubbi su che fine faranno le tante riforme cominciate e ora lasciate a metà dal governo dimissionario, su tutte quella per il terzo settore. A seconda degli scenari che si delineeranno nei prossimi giorni, difficili da prevedere nonostante il proliferare di “voci” e “retroscena” (l’imbrattamento cambia argomenti, ma non si ferma mai), si capirà se il governo che sarà nominato avrà la volontà e le competenze per continuare a far girare i meccanismi innescati dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi.
Se fosse nominato un governo “di scopo”, incaricato solo di ridefinire il sistema elettorale (di cui ormai si è perso il libretto d’istruzioni), probabilmente molte cose su cui si è molto discusso ma poco si è fatto verrebbero nuovamente azzerate. Come scrive Carlo Mazzini sul suo blog, l’unica norma che ha raggiunto nel suo iter una sorta di “punto di non ritorno” è quella sul servizio civile: «Diciamo che la possibilità che questo schema di decreto possa diventare legge entro il 2016 sono al 50 per cento. Infatti le Commissioni dovranno esprimere parere (rispetto al quale il Governo potrà o meno accogliere eventuali proposte migliorative) e successivamente il Governo si riunirà e delibererà di conseguenza. Dopo ci sono i tempi tecnici di pubblicazione in Gazzetta ufficiale che variano per ragioni a me del tutto sconosciute. Nonostante il Governo Renzi abbia finito la sua esperienza bastonato dal voto referendario, in relazione all’esito di questo decreto legislativo nulla dovrebbe cambiare. O a fine anno – in extremis – o all’inizio del prossimo anno, il decreto sul servizio civile vedrà la luce».
Su molte altre cose (5 per mille, impresa sociale, fisco del non profit, registro unico) la parola spetta al nuovo esecutivo, ma nessuno può dire quale sarà l’esito della vicenda. Si noterà una discrepanza tra quanto scriviamo e quanto dichiarato da Renzi nel suo discorso di commiato. L’ex presidente del Consiglio ha infatti elencato la riforma del terzo settore nella lista delle cose fatte dal governo, quando in realtà esso è arrivato solo all’approvazione della legge delega: «Senza decreti legislativi – scrive ancora Mazzini –, sulla realtà dei fatti quella legge ha il peso specifico di un moscerino sul parabrezza». Dopo tanto parlare, non c’è dunque nessuna garanzia che tali propositi abbiano un futuro. «Quello che non sappiamo è se il Governo post-Renzi di questa legislatura avrà voglia di cimentarsi su questi temi, se cioè ci saranno le condizioni politiche per farlo». La tentazione di fare previsioni è forte, ed è anche normale assecondarla, perché senza immaginare scenari futuri è impossibile continuare a ragionare su argomenti importanti.
Per concludere questa piccola riflessione laterale rispetto al referendum, ciò che ci auguriamo è che si mettano da parte in fretta lacrime e champagne, e che ci si metta realmente al lavoro, in fretta, per dare un progetto di governo a questo Paese. Non ci interessa (è ovvio, ma lo ripetiamo) il colore politico del governo che verrà, perché l’Italia ha innanzitutto bisogno di essere governata. La normale dialettica politica ormai da anni è diventata litigiosità inconciliabile, e quelli che un tempo si chiamavano avversari oggi sono nemici. Questa votazione ha portato una strano temporaneo ricompattamento, che ha visto la Lega Nord votare come l’Anpi, la destra come la sinistra-a-sinistra-del-Pd, ecc. Il punto è che la complessità e la stratificazione di questa campagna referendaria, nella cabina elettorale, si riducevano a due caselle con scritto Sì e No: ai meccanismi istituzionali non interessa quali motivazioni ci siano dietro alla scelta, entusiasta o sofferta che sia. Va bene, chiudiamola qui, pensiamo ad altro, perché bisogna fare presto.
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