Per i bambini e i ragazzi con disabilità, i soldi per l’inclusione scolastica ci sono (anche se meno degli altri anni), ma rischiano di non essere distribuiti perché alcune province non sono a conoscenza della scadenza del 10 settembre per farne richiesta al Ministero. La situazione, che non si può che definire paradossale, è stata messa in risalto da alcune associazioni di genitori e di volontariato. Aipd (Associazione italiana persone con la sindrome di Down) riporta sul suo sito in primo piano la notizia, avvertendo tutti i soggetti interessati ad attivarsi affinché sia scongiurata la mancata erogazione: «È particolarmente importante che tale informazione trovi la maggior diffusione possibile – sottolineano Salvatore Nocera e Nicola Tagliani dell’Osservatorio scolastico dell’Aipd – affinché le famiglie verifichino presso le scuole che queste ultime abbiano inviato le richieste per tale assistenza alle proprie Province o Città Metropolitane. E naturalmente le scuole che ancora non lo abbiano fatto dovrebbero inviare immediatamente le richieste delle figure che dovranno occuparsi di tali servizi, sempre alle proprie Province o Città Metropolitane, in modo che queste ultime possano chiedere al Ministero dell’Interno i fondi realmente necessari entro il termine stabilito del 10 settembre». Sembra incredibile, eppure è tutto vero.
Le incertezze non cominciano ora per le famiglie. Lo scorso anno scolastico si chiudeva con grandi punti interrogativi sollevati dalla legge sul riordino delle province e delle città metropolitane, che ha ridefinito le competenze attribuite ai vari soggetti, senza però specificare chi si sarebbe occupato dei servizi per l’assistenza alla comunicazione per gli studenti con disabilità sensoriali. Tanto che l’associazione Ledha aveva indetto una campagna dal titolo “Vogliamo andare a scuola”, per vigilare sul fatto che fosse assicurata la continuità nell’erogazione dei servizi, garantendo così il diritto allo studio a tutti i ragazzi e bambini coinvolti. I soldi furono poi stanziati: 30 milioni di euro (un terzo rispetto agli altri anni, secondo SuperAbile) inseriti con un emendamento nel Decreto legge sugli enti locali.
In questa grande confusione, la metà delle province lombarde sarebbe nella situazione di non poter garantire i servizi assistenziali, integralmente o in parte. Vita ricostruisce così la situazione della regione. «Ci sono 4.650 alunni che necessitano di assistenza e 6 province su 12 hanno non hanno ancora emanato alcun provvedimento in materia. Como, Lecco, Mantova e Sondrio hanno preso un impegno politico verbale a risolvere il problema, rassicurando i cittadini, mentre a Cremona ci sono serissimi problemi perché la provincia ritiene di non avere responsabilità alcuna in merito. A Brescia c’è un accordo quadro che dà la delega di queste funzioni ai Comuni; a Lodi sono stati fatti protocolli con i singoli Comuni ma si prevedono fondi per garantire il servizio più o meno per metà anno; Monza Brianza è stata fra le prime province a muoversi, emanando delle linee guida, ma i fondi stanziati sono insufficienti a coprire tutto il servizio; Pavia ha individuato il bisogno ma probabilmente riuscirà a coprire solo la metà del servizio richiesto; Varese ha emesso delle linee guida che prevedono un monte ore massimo settimanale e un importo massimo per ciascun alunno. La Città metropolitana di Milano ha stabilito che saranno i Comuni a erogare i servizi, dietro coordinamento della Città Metropolitana stessa e a tal fine ha chiuso un’intesa con 14 uffici di piano su 17. Non ha chiuso l’intesa, ad esempio, con il Comune di Milano: qui tutto resterà come l’anno scorso, pari pari».
Data la situazione, i vertici di Ledha parlano apertamente di «discriminazione», visto che si sta configurando una negazione (totale o parziale) del diritto allo studio per centinaia di ragazzi in tutta la Lombardia. «Le istituzioni chiedono sempre a queste famiglie di capire, di essere accomodanti, di andare loro incontro. Quest’anno questa cosa pare istituzionalizzata, perché in tanti dicono di avere soldi per coprire la metà del bisogno. Si parla di 6-8-10 ore a ragazzo alla settimana e di 5mila euro all’anno. Non ha senso, i ragazzi hanno un Pei (Piano educativo individualizzato, ndr) che individua il loro bisogno e a quello hanno diritto, non alla metà perché qualcuno non è stato in grado di reperire i soldi», ha detto Alberto Fontana, presidente di Ledha. Non è più tempo di rimpalli di responsabilità, né di accettare la palese incapacità della classe politica.
Associazioni e famiglie sono pronte, dopo mesi passati a cercare il dialogo con le istituzioni, a issare le barricate. Si fa strada così l’ipotesi del ricorso. «Le segnalazioni possono essere inviate all’indirizzo mail info@ledha.it», si legge sul sito di Ledha. Se la situazione non fosse drammatica, potrebbe quasi fare sorridere il fatto che i fondi relativi all’assistenza alla comunicazione rischino di non essere erogati per un problema di comunicazione all’interno della pubblica amministrazione.