Con l’approvazione del nuovo regolamento AgCom per la tutela del diritto d’autore online la deriva “tecnicistica” della vita politica italiana si fa ancora più compiuta. L’Autorità indipendente incaricata, tra le altre cose, di garantire le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, ha deciso di muoversi in senso diametralmente opposto alla sua mission, approvando un testo che di fatto la vede sostituirsi all’autorità giudiziaria nel decidere l’oscuramento di siti web accusati di ospitare materiale coperto da copyright. Tra le varie disposizioni introdotte dalla delibera è infatti previsto che, nel perseguire la lotta alla pirateria, il titolare dei diritti di un’opera che ritenga ci sia stata una violazione da parte di un sito internet (fosse anche solo un link che riporta a un altro sito dove il file è stato caricato) possa essere segnalato direttamente all’Autorità, che entro tre giorni dovrà decidere se girare la questione a chi ospita la pagina, ossia il provider. Questi dovrà provvedere alla rimozione o proporre una propria difesa. Se poi l’AgCom ritiene comunque che stia avendo luogo una violazione, può ordinare la chiusura della pagina entro tre giorni, dopo i quali scattano multe fino a 250mila euro. In tutto la pratica dura 35 giorni, che scendono a 12 in casi giudicati urgenti.
Questo il meccanismo più contestato, e vedremo perché, in un testo che inoltre introduce numerose definizioni che mettono confusione in un campo di per sé insidioso e su cui l’Ue sta cercando di armonizzare le norme in vigore nei diversi Paesi. La Commissione europea ha fatto dei rilievi in merito (il testo della delibera è stato inviato a Bruxelles prima dell’approvazione), chiedendo che fosse rivisto il concetto di “gestore di pagina internet”: «La Commissione ritiene che l’attuale formulazione possa dare origine ad incertezza giuridica. Non è chiaro perché le autorità italiane propongono di introdurre l’ulteriore concetto di gestore di pagina internet, il quale non è usato né dalla direttiva sul commercio elettronico né più in generale dalla rilevante legislazione dell’Ue». Altra definizione non convincente è quella di “opera digitale”: «Si chiede alle autorità italiane di chiarire cosa si intende con la condizione che tali opere siano diffuse su reti di comunicazione elettronica. In particolare non è chiaro se questa definizione riguardi unicamente le opere inviate e ricevute in formato digitale in forma intangibile escludendo le opere digitali in forma tangibile (ad esempio vendita di dvd online)».
Le critiche più aspre di giuristi ed esperti si concentrano sul rischio di minare la libertà del cittadino di accedere alle risorse che gli consentano di essere informato e usufruire di tutti i vantaggi che la condivisione dei saperi attraverso internet può stimolare. Il regolamento va contro il principio costituzionale per cui è solo la magistratura a poter limitare tali libertà (ed è probabile che a questo si appellino i prevedibili ricorsi al Tar del Lazio da parte di provider, gestori di piattaforme web e contenuti, associazioni di consumatori, ecc.). Applicarlo «significherebbe che ci sono –scrive il docente di Telecomunicazioni Francesco Vatalaro-, in Europa, materie che esulano da forme di sorveglianza e controllo di secondo livello e Istituzioni che dettano regole, in mano a pochi supertecnici, autorizzate ad esercitare poteri assoluti, come fossero vere e proprie monarchie non costituzionali di settore». L’entrata in vigore del regolamento è prevista per il 31 marzo 2014, da qui ad allora ci auguriamo che il testo subisca miglioramenti sostanziali.